Telegiornaliste anno X N. 16 (404) del 28 aprile 2014
Cristina
Scanu: il giornalismo di strada, la mia passione
di
Giuseppe Bosso
Inviata di
La Gabbia, programma di informazione condotto da Gianluigi Paragone su
La 7, giornalista e scrittrice, incontriamo
Cristina Scanu.
Quale inchiesta tra quelle che hai realizzato quest’anno ti ha maggiormente
coinvolta?
«Di solito, per la trasmissione in cui lavoro mi occupo di storie di
ingiustizia, soprattutto perpetrata dallo Stato. Negli ultimi mesi ho girato
servizi su casi di malagiustizia, malasanità, sprechi... una storia che mi ha
colpito particolarmente è quella di Stefano Tassinari, un signore al quale è
stata pignorata e poi venduta la casa all’asta per tasse non pagate in un
momento in cui era rimasto senza lavoro; Stefano rischia di trovarsi in mezzo
alla strada con una nonna centenaria, una madre ottantenne e una sorella
disabile a carico. Quando l’ufficiale giudiziario stava per eseguire lo sfratto,
ha visto le telecamere e ha desistito. È bello, ogni tanto, aiutare le persone
che ci chiedono una mano».
Hai lavorato con
Andrea Vianello,
Daria Bignardi e adesso Paragone: cosa ti hanno lasciato queste esperienze?
«Con Andrea ho lavorato all’ultimo anno di
Mi manda Rai 3, e nella sua
redazione ho potuto apprendere quel lavoro di lettura di carte legali che è
fondamentale per svolgere un certo tipo di inchieste in cui si deve scavare a
fondo, analizzando documenti e visure. Con Daria invece ho potuto apprendere uno
stile più pop (il famoso
infotainment) che caratterizza un po’ anche
La Gabbia di Paragone, un talk tutt’altro che ingessato che racconta le
storie del paese reale con un linguaggio semplice e diretto».
Da cosa hai preso l’ispirazione per realizzare il libro-inchiesta sulle
madri-detenute?
«Ero andata in libreria alla ricerca di materiale legato al tema delle donne in
carcere e dei loro figli, e ho scoperto che nessuno se ne era mai occupato.
Allora mi sono detta: perché non lo faccio io? Ed è così che è nato questo
libro, un viaggio nelle carceri femminili in cui ho cercato di porre
l’attenzione sulla difficile condizione di questi bambini piccolissimi (con
un’età compresa tra zero e tre anni) che sono pochi, 60-70 in tutta Italia, e
che forse per questo non sono considerati una vera emergenza: bambini a cui
viene negato il diritto a un’infanzia serena e di cui nessuno si occupa. Quando
si parla di carcere, si parla solo del sovraffollamento, delle cattive
condizioni dei nostri istituti penitenziari ma raramente, per non dire mai, si
dice che dentro quelle celle vivono anche dei bambini».
Ti senti più giornalista da strada o da redazione?
«Assolutamente da strada! In redazione è importante svolgere ricerche,
individuare i temi da affrontare, prendere i primi contatti ma dopo il terzo
giorno davanti al pc sento il bisogno di uscire e cercare le storie per strada.
Perché è nei posti che trovi le storie migliori; è questa per me la vera essenza
del giornalismo».
Fino a che punto saresti disposta a spingerti per un’esclusiva?
«Non mi sono mai posta limiti a dir la verità. Durante l’anno sono, per restare
al titolo del programma, ‘ingabbiata’ da quello che la trasmissione mi chiede,
dalla linea editoriale, dalla logica degli ascolti, ma in estate, quando sono
più libera, faccio il giornalismo che amo: due anni fa ho avuto lo spazio per
scrivere il libro e l’estate scorsa sono andata in Turchia con un collega. Per
una settimana ho vissuto con i guerriglieri curdi al confine con l’Iraq; erano i
giorni di piazza Taksim, la Turchia era su tutti i giornali ma l’obiettivo del
nostro viaggio era quello di raccontare gli aspetti che i media non affrontano;
raccontare la rivolta dei giovani di Gazi Park, allontanandoci da Gazi Park: è
stato rischioso tornare a Istanbul con il girato per il reportage sul Pkk nello
zaino. Se la polizia turca ci avesse perquisito, saremmo finiti in cella perché
i miliziani di Ocalan sono considerati terroristi dal governo di Erdogan.
Quest’estate mi piacerebbe occuparmi del caso delle adozioni internazionali,
magari in Congo. Vedremo».