Telegiornaliste anno X N. 41 (429) del
8 dicembre 2014
Carmen Cretoso: alla
scoperta dell’Europa
di
Giuseppe Bosso
L'Europa: nemica o amica? Causa di tanti mali o fonte di opportunità? Ce
lo chiediamo da tempo, non solo per l'andamento della nostra economia;
ma per qualcuno l'Europa è stata una piacevole scoperta; Carmen Cretoso,
giovane giornalista napoletana, ci racconta l'esperienza che ha vissuto
a Parigi, e non solo.
La tua storia a Parigi come nasce?
«Collaboravo da sei anni con un quotidiano di Salerno,
La Città,
gruppo de L'Espresso, e lavoravo a settimanali di approfondimento
televisivi quando smanettando su Internet ho scoperto l’esistenza di uno
Europe Direct, un Centro Europeo di informazione, cultura e cittadinanza
europea a Napoli, chiamato Ceicc. Mi ci sono recata per capire quanto
potesse arrivare l’Europa all’ombra del Vesuvio, cosa che mi affascinava
da sempre; ho partecipato a diversi workshop, seguito laboratori di
scrittura, come una studentessa universitaria, e ho scoperto che c’era
la possibilità di fare esperienza all’estero; nel 2011 vinsi uno stage a
Bruxelles, al Parlamento Europeo, della durata di una settimana, che
consisteva nel partecipare a simulazioni di conferenze stampa; ho
conosciuto tanti ragazzi che, al di là dell’Erasmus e degli altri
programmi standard che conosciamo, avevano alle spalle svariate
esperienze; mi ha affascinato l’idea di condividere il modo di pensare,
il modo di vivere e di fare cittadinanza attiva di altri Paesi, al di là
dell’esperienza formativa nel Parlamento; ho deciso così di cercare
lavori che andassero al di là del giornalismo locale. Ho capito che
l’Europa viene vista come qualcosa di lontano, ed è invece molto più
vicina a noi di quanto possiamo immaginare Alla fine ho scoperto questo
tirocinio, che era legato al semestre europeo, con colleghi che ciascuno
rappresentavano uno degli Stati membri, per seguire le elezioni
municipali e le elezioni europee in Francia. Ho partecipato alla
selezione, ricordo che mi spaventava il fatto che fossimo più di
duecentocinquanta, ma alla fine mi sono classificata prima, con orgoglio
e soddisfazione».
Perché la Francia?
«A Bruxelles ho capito che la conoscenza della lingua d’Oltralpe ti può
far andare molto più in avanti dell’inglese, e io mi sono trovata ad
apprendere una lingua nuova, che non avevo mai studiato nemmeno a
scuola. È la lingua ufficiale ‘amministrativa’. Al di là della ‘fuga’
all’estero ho scoperto l’Europa vivendola, coabitando con ragazzi
spagnoli, tedeschi, inglesi e condividendo momenti quotidiani come
l’organizzazione della cena, della casa e del tempo libero scoprendo usi
e costumi dei loro Paesi. Certo è stata dura, mi mancavano i miei
affetti, la mia famiglia, e il clima freddo non era proprio l’ideale per
una napoletana calorosa come sono io – ride, ndr – per non parlare del
cibo… ma le soddisfazioni lavorative mi ripagavano».
Cos’ha cambiato questa esperienza nel tuo modo di essere giornalista?
«La mia esperienza ha accresciuto la mia ‘rabbia’, nel senso positivo
del termine, sento di poter pretendere di vivere bene, con il lavoro che
deve assolutamente essere retribuito. Ho fatto tantissime volte
volontariato in Italia, anche al Festival del giornalismo a Napoli;
attenzione, non vorrei sembrare una che ‘se la tira’ solo perché ha
vissuto all’estero, l’esperienza mi ha insegnato che è giusto pretendere
che il proprio lavoro venga valorizzato e, quindi, pagato come merita di
essere. È una rabbia che mi indica la strada del ‘no’; mi rendo conto
che qualcuno potrà pensare
e va beh, ma per te che hai detto no
qualcun altro dirà sì al lavoro non pagato; e invece dobbiamo dirlo
tutti questo no. Iniziare a far capire ai direttori e agli editori cosa
succederebbe se non si trovassero più con questi poveri disperati che
lavorano per strada gratis; lo dico soprattutto a chi ha toccato i 30
anni come me; è da noi che deve partire il vero cambiamento. Mi rendo
conto che sono stata la prima a dire sì al lavoro gratis, nella speranza
che il tempo avrebbe portato miglioramenti; invece è successo proprio il
contrario, il passare del tempo mi faceva solo sentire peggio, fin
quando non ho trovato la forza di dare una svolta alla mia vita ».
Pensi di tornare lì o di provare, anzi riprovare, a costruire il tuo
futuro professionale in Italia?
«Continuo a lavorare con un giornale francese dall'Italia, provando a
migliorare la lingua. Ma io voglio credere ancora di potermi affermare
nel mio Paese, scrivendo nella mia lingua madre, che considero essere la
più bella in assoluto».
Cosa consigli a giovani, anche non operanti nel tuo settore, che
volessero tentare la strada europea?
«Di partire subito, zainetto, taccuino e cuore aperto, ad accogliere
tutto ciò che si incontra lungo il cammino. Il semestre europeo non
capita tutti gli anni, per cui non sempre è possibile contare su questa
opportunità, ma c'è un mondo di altre, non meno interessanti,
possibilità da non trascurare. Per me lavorare un periodo all'estero
dovrebbe divenire obbligatorio. Auguro a tutti di partire, per poi
tornare più formati e arricchiti come è successo a me. Non si può
tollerare di dover partire per disperazione, non è giusto e la mia
generazione, quella che ha la quotidiana forza di reinventarsi sempre un
lavoro, merita di poter viaggiare per conoscere, esplorare, migliorarsi;
non di essere costretti a scappare».
Cosa hai trovato di diverso tra Italia e Francia?
«Beh, anzitutto un rispetto per il lavoratore che non ho riscontrato in
Italia, a cominciare dalla retribuzione; quello che ho guadagnato mi ha
permesso di muovermi in maniera indipendente e dignitosa. Dal punto di
vista squisitamente politico-amministrativo le elezioni municipali che
ho seguito sono completamente diverse da quelle italiane, non sono
frazionate per territorio di anno in anno ma si svolgono nello stesso
periodo in tutto il Paese ed è dunque un appuntamento nazionale».
E dal punto di vista del giornalismo?
«Sia in Francia che in Germania dove ho vissuto uno scambio culturale in
radio passando otto giorni on the road, tra freddo e gelo, a fare
interviste per strada c’è una maggiore considerazione del ruolo del
giornalista! Da noi vedo un po’troppe persone che si fregiano del
titolo, persone che conducono i programmi di intrattenimento, presentano
a mo' di veline, sfilano, fanno di tutto, mentre in Francia la
moderazione dei dibattiti è lavorio sobrio ed elegante, il resto è
destinato alle donne di spettacolo. Altra cosa, non esiste la figura del
‘corrispondente’, come ero abituata a fare al quotidiano salernitano che
mi pagava al pezzo, subordinata al caposervizio. No: la figura del
direttore è parte attiva del lavoro di redazione, compreso quello in
strada, fin dal mattino, dove si trovano le notizie da raccontare.
L’Unione Europea proprio sulla base dell’esperienza che ho vissuto mi ha
finanziato un festival di giornalismo, che mi ha permesso di
organizzarlo proprio nella regione dove ho seguito il semestre, che ad
ottobre è stato premiato a Parigi come evento culturale più
interessante».
Cosa vorresti portare di Napoli in Europa e viceversa?
«Dirò una cosa forte, ma credo che ai francesi servirebbe la nostra
intraprendenza; per quanto mi abbiano accolta benissimo nella loro
concezione nazionalista; il ragazzo francese, finita l’università a 24
anni ci impiega un anno a trovare lavoro, seguendo un percorso lineare.
Noi il lavoro ce lo inventiamo, giorno dopo giorno, e per questo forse
meriteremmo di più; oltre alle ‘classiche’ cose, dal sole al cibo.
Porterei, come ti dicevo, la concezione del lavoro e dell’Europa, il
modo di approcciarsi alla vita che già alle sei di sera li porta a
staccare dal lavoro e vivere i piaceri della vita, mentre noi viviamo
per lavorare».
La tua esperienza dunque ‘riabilita’ quell’immagine negativa che
si ha dell’Unione Europea, soprattutto alla luce della crisi economica
che continuiamo a vivere?
«Assolutamente. Credo nel federalismo vero, quello che apre la porta
dell’Europa fin da casa nostra. Sta a noi capirlo. Se non entriamo
nell’ottica dell’Europa, come possiamo dire di entrarci?»
Cosa vedi nel domani?
«Sarò una pazza, ma mi vedo ancora giornalista, ho una gran voglia di
raccontare storie belle, di gente che ce l’ha fatta, che è andata avanti
magari partendo dalla povertà, che però in questa ha trovato la sua
forza».