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Maddalena Vianello Mariella Gramaglia Fra me e teTelegiornaliste anno IX N. 8 (352) del 25 febbraio 2013

Maddalena Vianello, fra me e mia madre
di Giuseppe Bosso

Una madre e una figlia che dialogano, ripercorrendo la lunga fase che le donne del nostro Paese hanno attraversato dagli anni Sessanta ad oggi. Così nasce Fra me e te, edito da Et al., nelle librerie da pochi mesi con notevole successo. Loro sono Mariella Gramaglia, giornalista e studiosa con alle spalle una lunga attività politica sia come parlamentare che come assessore al comune di Roma, che negli ultimi anni è stata a lungo in India per seguire un progetto a sostegno delle donne con la Cgil, e Maddalena Vianello, che abbiamo il piacere di intervistare. Studiosa e organizzatrice culturale, già direttrice della Design Library, impresa di promozione del design italiano, con alle spalle varie collaborazioni con l’Istituto Luce e diverse produzioni televisive, ideatrice del progetto di ricerca Sonia la meccanica, impegnata nel movimento delle donne e parte dell’Associazione Orlando di Bologna. Nel libro sono presenti anche brani scritti dalle giornaliste Lidia Ravera e Franca Fossati.

Maddalena, come nasce questo libro?
«L’idea di dare alle stampe questo nostro epistolario non è nata così; da sempre io e mia madre abbiamo un dialogo profondo e frequente che ha spaziato su vari temi, soprattutto legati alla politica e alle donne in particolare. Tuttavia avvertivamo spesso la sensazione di non riuscire del tutto ad andare a fondo delle questioni, di sfuggire i temi più complicati; e allora, due anni fa, ci è venuta questa idea di scriverci, per un confronto a ruota libera sui temi che avrete modo di scoprire leggendo il libro. Lei è stata una delle pioniere di quel femminismo che in Italia è nato e si è sviluppato negli anni ’70 e che io nella mia vita ho imparato a sostenere, anche aderendo a recenti movimenti e manifestazioni come quella di due anni fa, Se non ora quando?; ci siamo interrogate su quell’eredità che quegli anni hanno trasmesso ai giorni nostri; ma non solo: c’è spazio anche per i ricordi della nostra vita familiare; il corpo femminile e quell’autodeterminazione che oggi è soprattutto consumo. Temi diversi ma intrecciati».

È stato difficile per voi mettere a nudo il vostro rapporto nei confronti di tanti lettori?
«Per quanto mi riguarda, no. È stato tutto spontaneo e onesto; non ti nascondo che ci sono stati anche momenti di duro confronto in questo contesto, ma come ho detto io e mia madre abbiamo sempre avuto questo dialogo profondo e diretto, che le persone che abbiamo incontrato alle prime presentazioni ci hanno riconosciuto dicendo che siamo state molto coraggiose nell’esposizione».

Il femminismo di cui tua madre è stata, appunto, tra le pioniere nel nostro Paese, come si colloca nella realtà dei nostri giorni?
«Le epoche cambiano e inevitabilmente anche le esigenze si adeguano alla realtà dei tempi. Ma quella strada da lei intrapresa è la mia di adesso, e noto che tante battaglie combattute all’epoca non sono finite, ma vanno anzi continuate e difese da chi cerca di mettere ancora in discussione, per esempio, l’aborto. Quell’esperienza costituisce un ottimo bagaglio per affrontare le nuove sfide della nostra epoca, e io al primo posto ci metto senz’ombra dubbio la precarietà. È un problema di tutti, a cominciare dai giovani, ma le statistiche parlano chiaro quando affermano che sono anzitutto le donne a soffrire questa morsa micidiale, indegna di un Paese civile. A maggior ragione se si pensa che le donne si fanno carico anche del lavoro domestico, della gestione della casa, e il più delle volte sono costrette a scegliere tra la carriera e gli affetti senza alcun sostegno».

Cosa avete cercato di trasmettere ai lettori, e ovviamente alle lettrici in particolare?
«Per quanto mi riguarda due cose soprattutto: anzitutto che parlarsi si può, anche in questi tempi. E poi, ci tengo a sottolinearlo, che rinnovarsi si può, ma non condivido questa improvvisa voglia di ‘rottamare’ da molti esposta, quasi che tutto quello che abbiamo vissuto fosse da buttare via. Ho cercato per quanto possibile di condividere con mia madre il disagio di essere precarie oggi – cosa che mi riguarda direttamente, ma credo sia anche un problema drammaticamente diffuso per le donne della mia generazione – e mi auguro che tramite lei, nel nostro dialogo, questo messaggio venga recepito anche dalle altre generazioni, che temo non comprendano a fondo questa sofferenza».

C’è qualcosa che non sei riuscita a dirle nemmeno in questo modo particolare?
«No. Credo proprio di averle detto tutto quello che sentivo di volerle dire».

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