Telegiornaliste anno IX N.
39 (383) del 18 novembre 2013
Franca
Leosini: non solo storie maledette
di
Giuseppe Bosso
Incontriamo
Franca Leosini, reduce da un’ennesima, brillante, edizione di
Storie maledette, trasmissione di cui è autrice e conduttrice, andata in
onda su Rai tre.
Soddisfatta di questa edizione di Storie maledette?
«Bilancio molto positivo; la seconda serata è sempre una collocazione molto
difficile e i risultati, anche in termini di ascolto, sono stati davvero
gratificanti. Ma a parte questo le soddisfazioni maggiori sono legate al fatto
che un prodotto – ritenuto di qualità – venga seguito con passione da fasce
sociali fra loro diversificate».
C’è un caso di cui hai parlato durante questa edizione che ti ha colpita in
particolare?
«Particolarmente significativo in questa serie è stato il caso di Luciana
Cristallo, che ha fatto giurisprudenza perché è la prima volta che un’imputata,
rea confessa di omicidio, è stata assolta per legittima difesa, in assenza di
testimoni: una sentenza coraggiosa in un periodo difficile perché
particolarmente segnato dalla violenza sulle donne».
E infatti negli ultimi anni sono cresciuti gli episodi di violenza sulle
donne: cosa ti suscita il fatto di doverne parlare con molta frequenza nel tuo
programma e come cerchi di porti nei confronti di queste vicende?
«Premessa: non amo questo neologismo,
femminicidio, tanto in voga in
questo periodo; come in generale sono contraria a ogni definizione che diventa
slogan. Nel caso specifico parliamo di violenza sulle donne; l’intervento
legislativo varato di recente è stato indubbiamente importante, ma tardivo.
Vedremo come saranno applicate le nuove norme, che contengono però anche
clausole che potrebbero risultare a rischio, e mi riferisco per esempio a quella
dell’irrevocabilità della denuncia per ‘stalking’: una clausola che, in certi
casi, può indurre le donne che subiscono questi maltrattamenti a non sporgere
denuncia, nel timore di non poterla poi ritirare. In ogni caso ritengo che,
ancor più della legge, conti la consapevolezza di quanto siano sbagliati,
colpevoli, certi comportamenti. In sostanza è un fatto di cultura, un percorso
che inizia dalla famiglia e dalla scuola».
Il clamore e l’eccessiva attenzione che i media in questi anni hanno
riservato ai fatti di cronaca nera non sono, secondo te, pericolosi perché
possono creare voglia di emulazione?
«Si può parlare di tutto, dipende dal modo in cui se ne parla; per quanto mi
riguarda tendenzialmente evito di partecipare a dibattiti e a talk show, quando
si corre il rischio che si affrontino queste tematiche senza la possibilità di
sviscerarle con la dovuta attenzione. Questo sempre con il massimo rispetto dei
colleghi e del loro impegno».
Ti abbiamo vista partecipare al programma Aggratis, da Fabio Volo e in
una simpatica intervista con Paola Cortellesi che ti imitava: come mai l’hai
fatto?
«Al di là dell’immagine di dovuto rigore legata al mio impegno professionale,
dicono che sono una persona solare, ed è così: affronto con serietà e impegno il
mio lavoro, ma non per questo rinuncio a sorridere e a giocare, come ho fatto in
questi programmi. Con Paola Cortellesi, poi, è stato straordinariamente
divertente: tutto realizzato in diretta, premesso che Paola ha impiegato sei
mesi per mettere a fuoco la mia imitazione, e lo ha fatto in modo straordinario.
Del resto l’imitazione, quando è realizzata da un grande professionista,
rappresenta una vera e propria consacrazione».
Rispetto ai tuoi inizi ritieni che oggi una giovane aspirante giornalista
trovi maggiori o minori difficoltà rispetto a quelle che hai affrontato tu?
«Oggi, con il proliferare di emittenti e di nuovi mezzi di comunicazione,
teoricamente per gli aspiranti giornalisti dovrebbero esserci più spazi e più
possibilità. Ma in realtà non è così: si tende alle sinergie, e anche le testate
giornalistiche più diffuse riducono in modo robusto le collaborazioni. Peraltro
accetto, sia pure raramente, di fare quella che viene definita una “lectio
magistralis” alla facoltà di Scienze della Comunicazione nelle Università di
massimo prestigio: agli studenti dico costantemente: il giornalismo non è un
mestiere che si impara solo nelle scuole, per quanto prestigiose possano essere;
la via maestra è l’esperienza».
Guardando indietro c’è qualcosa che non rifaresti?
«No. Per fortuna, e con mio sollievo, tutte le scelte che ho compiuto mi hanno
sempre ripagata».
Se non ti fossi specializzata soprattutto nel giornalismo legato ai casi di
cronaca giudiziaria di quali argomenti avresti voluto trattare?
«Sono laureata in lettere: la mia formazione umanistica mi ha consentito,
all’inizio, di operare nel “culturale” con le testate con le quali ho
collaborato, fra le quali il settimanale
L’Espresso e il quotidiano
Il
Tempo. Circostanze che ritengo fortunate mi hanno poi portata a percorrere
la strada del giornalismo d’inchiesta nel giudiziario: un settore che
particolarmente amo, perché investe tutte le passioni umane anche se,
prevalentemente, si concludono con la tragedia di un gesto estremo».
Sei stata premiata come icona gay: cosa ti ha dato questo riconoscimento?
«Gratificazione totale. Un riconoscimento che mi ha particolarmente inorgoglito
perché mi è stato tributato da persone che rispetto infinitamente e che
infinitamente amo. Inorridisco quando li sento definire ‘diversi’: diverso per
me è solo chi, con un buon tasso di imbecillità, li ritiene tali».
Il look di Franca Leosini.
«Non molto diverso, in video, da quello di tutti i giorni; l’importante è essere
sempre se stessi. L’eleganza, per me, è sinonimo di opportunità: fare sempre
attenzione ai contesti in cui ci si muove».
Cosa farai da grande?
«Finché avrò passione per questo lavoro, continuerò. Poi magari, quando sarò
vecchietta – ride,
ndr – potrò fare altre cose. Le più importanti case editrici
continuano a propormi di scrivere libri, ma attualmente non mi è proprio
possibile. L’impegno per
Storie Maledette – trasmissione della quale sono
autore unico – mi assorbe totalmente. Questo è il motivo per il quale per ogni
serie di
Storie Maledette riesco a realizzare poche puntate. Dipende
dall’immenso lavoro, di studio, di rigore, di scrittura che c’è dietro ogni
puntata».