Telegiornaliste
anno II N. 43 (75) del 27 novembre 2006
Tatiana Zorri, il
calcio nel sangue
di Mario Basile
Prosegue il viaggio del nostro magazine nel mondo del calcio
femminile. Questa settimana, grazie ancora una volta alla preziosa
collaborazione di
Calciodonne.it, abbiamo incontrato Tatiana
Zorri. Ventinove anni, centrocampista esterno del
Torino, dal ’94 Tatiana è punto fermo della nazionale
azzurra.
Come è iniziata la sua carriera?
«Nel Sora, una squadra del frusinate. Infatti io sono di
Isola Liri, un paese in provincia di Frosinone. Ho iniziato a giocare a calcio
prima coi miei fratelli, poi ho scoperto questa squadra femminile e, siccome il
calcio è sempre stata la mia passione, ci sono andata di corsa. La mia carriera
è cominciata da lì: avevo nove anni. Sono passata al Frosinone e quindi alla
Lazio, dove ho esordito a quindici anni».
Rispetto agli anni dei suoi esordi come è cambiato il
nostro calcio femminile? Ci sono stati dei progressi?
«Sicuramente c’è molta più visibilità. A livello di gioco c’è
stato qualche miglioramento. Invece tra la Serie A e le serie minori resta
ancora un grande abisso. Questo perché in Serie A giocano ragazze che sono più
“atlete”, mentre nelle serie minori tutte le calciatrici lavorano e vedono il
calcio solo come un hobby. Certo, anche nella massima serie troviamo ragazze che
lavorano e studiano oltre a praticare l’attività agonistica, ma è una
percentuale nettamente minore. Quindi molte di loro riescono ad allenarsi meglio
rispetto alle colleghe delle divisioni inferiori. Rispetto a quindici anni fa
non vedo nemmeno molta differenza a livello tattico».
A 15 anni è arrivato anche l’esordio in azzurro. Cosa
ricorda di quel momento?
«Ho provato una grandissima emozione. Mi trovai, però,
davanti a una scelta molto difficile, perché proprio quel giorno, il 29 ottobre
1994, si sarebbe sposata mia sorella. Per cui ero indecisa se rispondere alla
convocazione o meno. Mia sorella capì quanto fosse importante per me quella
chiamata. Così andai in nazionale e debuttai. Quel ricordo mi è rimasto nel
cuore. Anche perché poi giocammo contro la Norvegia, c’erano diecimila persone
sugli spalti: fu una bellissimo momento».
Cosa si prova ad indossare la maglia azzurra?
«Andare a rappresentare la tua nazione in tutto il mondo è
una bella emozione. Indossare la maglia azzurra è indescrivibile. Ogni volta che
mi capita provo le stesse sensazioni del primo giorno. Giocare in nazionale è il
sogno di tutte le calciatrici».
Il calcio maschile ha attraversato momenti difficili. C’è
qualcosa che può imparare da quello femminile?
«Il calcio femminile è rimasto come era una volta: tante
ragazze lo fanno solo per passione. Mentre quello maschile oramai è diventato un
business e, come dice un proverbio delle mie parti, i soldi fanno tornare la
vista ai ciechi. Forse devono imparare ad essere umili e magari tornare al
passato, quando c’era meno denaro in ballo».
Per chiudere: un suo consiglio alle ragazze che vorrebbero
diventare calciatrici.
«Il mio consiglio è avere umiltà e voglia di imparare. A
livello tecnico, allenarsi tantissimo e guardare le partite di calcio maschile.
Anzi suggerisco di allenarsi, quando possono, oltre che con la propria squadra
anche con gli uomini: si cresce tantissimo. Infatti con la nazionale spesso
incontriamo squadre le cui calciatrici hanno tutte una prestanza fisica da uomo
e soffriamo sotto questo aspetto. Per cui allenarsi con le squadre maschili può
essere molto utile per migliorare».