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Intervista a Nicla Vassallo tutte le interviste
Telegiornaliste anno III N. 44 (122) del 3 dicembre 2007

Nicla Vassallo e le donne scienziate di Silvia Grassetti

Donne e scienza: un binomio per molti versi ancora guardato con sospetto.
Già al liceo ci raccontavano della serva di Talete, brava a deridere il filosofo caduto in una buca: preso a tentare di spiegare la realtà, non si era accorto di dove metteva i piedi.
Come dire: gli uomini sanno ragionare, le donne hanno un po’ di senso pratico, nulla più.

Forse i tempi sono cambiati. Abbiamo chiesto un parere a Nicla Vassallo, uno dei massimi esperti di filosofia della conoscenza. Dal 2005 professore ordinario all’Università di Genova dove insegna Filosofia della Conoscenza ed Epistemologia, responsabile in passato di sette progetti di ricerca del CNR, la professoressa Vassallo scrive regolarmente su Domenica, il supplemento culturale del Il Sole 24 Ore, e ha pubblicato diversi libri, tra cui Filosofia delle donne: protagoniste della filosofia insieme a tutte le donne, Vassallo e la coautrice Pieranna Garavaso discutono di ragione e conoscenza, scardinando i percorsi consolidati della ragione.

Non solo: nell’ambito dell’ultimo Festival della scienza di Genova si è svolta la conferenza Donne, scienza e conoscenza. Ai nostri giorni è ancora vissuto come un azzardo questo accostamento?
«Senz’altro un azzardo, sotto diversi profili. Le donne sono state a lungo considerate soggettive e irrazionali. Facendo leva su ciò, è stato facile, ed è ancor oggi facile, estrometterle da un’impresa, come è la scienza, che si appella all’oggettività e alla razionalità. L’azzardo dell’accostamento è diventato tale da fare anche sì che le donne venissero rapinate dei propri contribuiti alla conoscenza scientifica».

Per esempio?
«Un caso eclatante è quello di Rosalind Franklin, rispetto alla scoperta del DNA. Nella storia della scienza le Rosalind Franklin devono essere state e sono senza dubbio più di quelle che conosciamo, e comunque anche di quelle che conosciamo si parla sempre troppo poco. Forse, è anche questa esclusione paradossale delle scienziate dalla scienza a generare in parecchi la convinzione che scienza e tecnologia nocciano alla vita quotidiana di uomini e donne».

Si spieghi meglio.
«Contraccettivi, fecondazioni assistite, cure ormonali di vario tipo, interventi di chirurgia estetica: non sono forse applicazioni tecnologiche della scienza e non incidono forse in modo pesante e pericoloso sul corpo femminile? Eppure occorre a mio avviso ricordare che la maggior parte delle applicazioni tecnologiche – non solo i contraccettivi, ma anche oggetti che noi consideriamo ormai “scontati” come i frigoriferi, le pentole a pressione, i computer - ha affrancato le donne da alcuni obblighi secolari che si sono spesso tradotti in vere e proprie schiavitù».

C'è stata una grande affluenza di pubblico alla conferenza Donne, scienza e conoscenza: quali sono state le categorie più rappresentate? Uomini, donne, studenti, addetti ai lavori?
«Sì, c’è stata una grande affluenza di pubblico e credo che fossero egualmente rappresentati i due sessi, le diverse classi sociali e le diverse età. Molti le studentesse e gli studenti, attenti ai temi legati alla conoscenza. Tra gli addetti lavori spiccavano filosofe e filosofi, scienziate e scienziati, giornaliste e giornalisti. Una maggiore sensibilità di queste ultimi e di questi ultimi potrebbe risultare di considerevole efficacia nel comunicare al grande pubblico come gli studi scientifici delle donne e sulle donne, e le loro applicazioni tecnologiche, siano spesso assai inappropriati».

Cosa potremmo fare noi giornalisti?
«Le faccio degli esempi: l’economia ignora troppo frequentemente il lavoro casalingo; la farmacologia tara dosi, modi e tempi di somministrazione dei medicinali sui corpi maschili, sebbene le donne consumino più farmaci degli uomini. Forse il caso più clamoroso è rappresentato dalla ricerca medica che considera l’osservazione del corpo maschile per lo più sufficiente anche per il corpo femminile, che lega la salute delle donne in modo indissolubile alla riproduzione, e difatti si concentra sull’apparato riproduttivo/ginecologico, senza però dare troppa rilevanza al dolore fisico (neanche il 4% dei parti italiani avviene con l’epidurale), che trasmette a volte la convinzione che la buona salute delle donne coincida con la loro bellezza e giovinezza».

Non solo la nostra società, anche il linguaggio è prettamente maschile, per dirla con la filosofa Luce Irigaray. Le donne possono superare questo "limite"? E se sì, grazie anche alla collaborazione maschile o da sole?
«Premesso che non amo Luce Irigarary, che la trovo incomprensibile e a tratti anche confusa, voglio sottolineare che il linguaggio è collegato al potere di trasmettere pensieri, informazioni, conoscenze. Ci sono aspetti senz’altro sessisti in esso, che dobbiamo cercare di evitare: così, se intendiamo riferirci anche alle donne, non solo agli uomini, non dovremmo usare il termine “uomini”, bensì il termine “essere umani”. E’ anche attraverso il linguaggio che riusciamo a rafforzare il sessismo, stabilendo magari cosa significa il termine “donna” per costringere le tante diverse donne che abitano il mondo a conformarsi a un significato di donna artificioso e individuato per soddisfare desideri maschili. Quanto diciamo può non essere in se stesso sessista, ma dirlo in certe situazioni è sessista».

Ad esempio?
«Dire “Monica è una bella donna” può non avere implicazioni sessiste, ma se si afferma “Monica è una bella donna” in un contesto in cui Monica sta partecipando a un concorso per ottenere un posto da fisico teorico, si vuole probabilmente implicare che Monica è solo una bella donna e che di conseguenza non è molto intelligente. Non è forse dato per scontato il pregiudizio sessista, stando al quale le donne belle sono di necessità un po’ stupidotte? Il linguaggio dell’implicito e delle implicazioni nasconde spesso stereotipi di tipo sessista. Ci sono poi “linguaggi” specifici, come il linguaggio pornografico, che meritano un esame a sé, per comprendere se umiliano le donne, se le rendono silenti, o se le liberano da situazioni di soggezione obbligata, mostrando semplicemente le situazioni e lasciando così alle donne la libertà di scegliere la situazione che preferiscono».

Come possiamo aiutare le causa femminista allora?
«Occorre aiutare la causa delle donne impiegando magari proprio il termine “femminismo” e “femminista” ogni qual volta si renda necessario, o non lasciando che le donne scompaiano o siano addirittura ignorate da alcuni discorsi, non solo scientifici e filosofici, ma anche politici, economici, culturali, e via di seguito, per essere relegate alle pagine di cronaca nera e di cronaca rosa.
Vorrei infine concludere riallacciandomi alla nozione che lega il linguaggio al potere, oltremodo benefico, di trasmettere conoscenze e quindi di apprendere conoscenze attraverso quanto gli altri ci comunicano, o, come si usa dire in filosofia, attraverso quanto gli altri ci testimoniano. Questa nozione di linguaggio è fondamentale per le donne, così come per gli uomini».

E sulla manifestazione contro la violenza alle donne dello scorso 24 novembre: vuole aggiungere un suo pensiero?
«La giornata internazionale contro la violenza sulle donne deve condurci a riflettere, oltre che ad alzare pubblicamente la voce, contro ogni tipo di crudeltà, ferocia, brutalità a danno delle donne. Penso non solo alla violenza fisica, che è comunque una vera e propria emergenza, ma anche a fatti e atti meno lampanti, la cui disumanità non va sottovalutata. Occorre denunciare tutte le violenze, quelle fisiche, sessuali e psicologiche, considerarle un reato. Nessuna violenza contro le donne è accettabile. Occorre tuttavia chiederci come mai sono state e sono le donne a essere oggetto di tante diverse violenze. E' senz'altro anche perché le donne sono state giudicate a lungo e sono tuttora giudicate inferiori all'uomo, dal punto di vista ontologico - metafisico e dal punto di vista epistemico. Le domande filosofiche cruciali con cui dobbiamo confrontarci si riducono sostanzialmente a due: ci possono essere buone ragioni biologiche o socio-culturali a sostegno della tesi che le donne sono inferiori? E: è il sesso di appartenenza che ci consente di individuare le donne per giudicarle inferiori, superiori, o uguali agli uomini? La risposta spetta a una filosofia delle donne seria che sappia riflettere criticamente sull'identità e la conoscenza delle donne».

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