Telegiornaliste
anno II N. 46 (78) del 18 dicembre 2006
La francese del giornalismo italiano
di Nicola Pistoia
Anne Tréca ha iniziato la carriera a
Bruxelles come redattrice in un'agenzia franco - inglese specializzata in affari
europei (European Report).
Dal 2001 collabora con
La7, e da un anno è la nuova firma digitale nel canale News di
La7.it, della rubrica Uno due... Tréca.
L’abbiamo incontrata e ci ha regalato un'intervista deliziosa.
Quali ricordi ha dei suoi inizi di giornalista?
«L'orgoglio di avere una macchina da scrivere tutta mia. Il rumore della
tastiera meccanica, che mi sembrava lo strumento migliore per cambiare il
mondo... Lo stress, la paura di mancare l'evento, o una parte della sua
spiegazione. La paura di non vedere tutto. Ma quello è ancora vero oggi».
Quali sono gli aspetti che l'affascinano maggiormente del suo lavoro?
«Vi devo deludere. Non ci sono aspetti che mi affascinano. Il verbo
"affascinare" mi suggerisce una materia più creativa, le arti, la musica, la
letteratura. Mi affascinano tutte le attività d'invenzione. Il giornalismo per
me è una scuola continua di disciplina e d'umiltà, di tenacità e di rigore
intellettuale. Poi trovo molto gradevole e gratificante essere retribuita per un
tratto naturale di carattere: la curiosità. E' forse per questa particolarità
che faccio ancora lo stesso mestiere dopo venticinque anni. Sono pagata per
studiare! Che fortuna!»
Lei ha lavorato sia per la radio che per la tv: riesce a definire pregi e
difetti di questi due mezzi di comunicazione?
«Il mio cuore è rimasto spezzato tra questi due mezzi di comunicazione! La radio
è tecnicamente più facile da fare e costa molto meno che la televisione. Questo
consente di essere più spontanea, più immediata, più flessibile. Crea un legame
più intimo con il pubblico. Esistono anche tanti studi per dimostrare che
l'orecchio parla più alla parte razionale del cervello che l'occhio.
La radio quindi stimola più il ragionamento, la capacità di analizzare
dell'ascoltatore e la sua capacità di filtrare il messaggio. La radio è più
essenziale, si presta bene ad un lavoro cerebrale.
La tv, con le immagini, si indirizza più direttamente alla sede delle emozioni.
E' un mezzo più affascinante e più pericoloso perché la forza delle immagini ci
fa pensare che c'è una realtà sola e che questa realtà è quella dello schermo.
Le parole contano molto meno. Quando lavoravo per la radio, la gente mi faceva
commenti su quello che avevo detto. In tv la gente mi parla molto più spesso dal
colore della mia giacca o dei miei orecchini. Ma la tv è superiore alla radio
per i reportage. Figuratevi l'11 settembre o lo tsunami senza immagini! Non
avremmo mai risentito così tanto della violenza di questi eventi sulle
popolazioni locali. E poi in tv sono anche pesanti di significato lo sguardo, i
movimenti della bocca, la gestualità. Si può scrivere un testo "politicamente
corretto" e dirlo in un modo talmente ironico da relativizzare tutta la
solennità del discorso. Si aggiungono le sfumature della telecamera. Tra
giornalista, operatore, regista, si suona in tre. In quattro se c'è un montaggio
(in realtà siamo in tanti per fare un minuto di tv!). Viene fuori un prodotto
più ricco. Ma se pensate solo che per mandare in onda una conduttrice servono 40
minuti di trucco e parrucchiere... che pesantezza !!!»
Dal punto di vista giornalistico, l'Italia ha qualcosa da invidiare alla
Francia, o viceversa? Esiste una sostanziale differenza tra il giornalismo
francese e quello italiano?
«Domanda che vale una tesi di università! Ma credo che nascano tutte due dalla
stampa di opinione. Quindi hanno tutte due, per me, il difetto di non sapere
sempre bene dividere il commento dai fatti o di evitare la militanza. Diciamo
che in Italia lo schieramento di un giornalista è ben accettato se non
apprezzato. In Francia non si fa più. E' diventato un difetto, un errore
professionale.
I francesi sono educati a pensare secondo un piano organizzato - tesi, antitesi,
sintesi oppure con un piano in quattro parti - che mi rende più facile la
lettura di un testo scritto da un francese. Sulla stampa italiana a volte faccio
più fatica a capire where is the news. Ma sicuramente per i cervelli
educati nel sistema italiano non sarà un problema. I tedeschi hanno un altro
modo di fare ancora, però la struttura più efficace per il trattamento
dell'informazione è quella degli inglesi. E' un'altra scuola ancora, ma per il
nostro mestiere e le tecnologie che usiamo oggi quella migliore in assoluto.
Dunque, no, neanche qui direi che la stampa italiana abbia qualcosa da invidiare
a quella francese.
Infine la presentazione dell'informazione cambia tra i nostri due Paesi: quella
italiana è più drammatizzante, la francese è meno appassionata, più distaccata.
La stampa francese invidia quella italiana perché si vende ancora! I francesi
non comprano quasi più quotidiani nazionali. La stampa regionale sta appena
meglio. Questa è una bella differenza sostanziale!»
Un consiglio a chi come lei vorrebbe intraprendere la carriera di
giornalista?
«Agli studenti dico sempre che hanno scelto un mestiere in piena rivoluzione. E
questo lo sapete bene voi che avete giustamente scelto di lanciare un prodotto
d'informazione online. Il pubblico domani si informerà in un modo molto diverso
rispetto ad oggi, modo che però ancora non conosciamo con precisione. I giovani
che vogliono fare il giornalista prendono un grosso rischio. Devono accettare
che, forse, per campare bisognerà essere anche capaci di fare un altro mestiere
in qualsiasi momento della loro vita. Dopodiché, come sempre bisogna credere
alla propria buona fortuna!».