Telegiornaliste
anno V N. 3 (174) del 26 gennaio 2009
Movimento studenti, un nuovo
Sessantotto?
di Pierpaolo Di Paolo
Per anni giornalisti e intellettuali si son
appollaiati sulla solita descrizione dei ragazzi
attuali come privi di qualsiasi ideale, incapaci
di posizioni solidaristiche, di consapevolezza
sociale, di rivoluzioni culturali paragonabili a
quelle degli anni 60 e 70. Interessati solo ad
inseguire il successo personale, a coltivare il
culto dell'io.
Oggi assistiamo all'esplosione di un movimento
giovanile dal quale ci sta venendo una grande
lezione. Da dove nasce questo fenomeno?
Tecnicamente la protesta sarebbe sorta contro il
decreto Gelmini-Tremonti, per fermare i
tagli e la trasformazione delle Università in
fondazioni di diritto privato. Il dubbio che
questa sia stata solo la famosa ultima goccia
che ha fatto traboccare il vaso di un
malcontento sociale molto più ampio e variegato,
sembra però ben più che una remota congettura.
Di fatto si tratta di un movimento politico.
In un momento in cui la gente non avverte
l'esistenza di una reale opposizione all'interno
del Parlamento, questi ragazzi rappresentano il
soggetto politico che più bruscamente si è
interposto tra Paese e Governo.
Nonostante ciò, esiste una profonda diffidenza in
merito tra i partecipanti, la paura di
strumentalizzazioni è evidente e di conseguenza
c'è una forte presa di distanza da qualunque
sigla o partito. Questo vuol dire forte
autonomia, ma anche nessuna alleanza sociale.
Abbiamo parlato con alcuni studenti della Facoltà
di Giurisprudenza dell'Università Federico II di
Napoli, chiedendo loro se possano essere
considerati eredi dei sessantottini. «No,
siamo in una realtà profondamente diversa
- risponde un ragazzo - forse qui s'è ricreata
quell'eco romantica che può rimandarti alle
atmosfere del 68, ma poi basta. Le differenze
sono enormi: allora si rivoluzionò il ruolo
della donna nella società, i costumi, qui
purtroppo non c'è alcuna rivoluzione culturale
in atto». Manca forse un obiettivo grande o la
possibilità per conseguirlo? «C'è una
sproporzione di forze in gioco enorme.
L'efficacia persuasiva del nulla, della cultura
piatta proposta dalla televisione non è
assolutamente contrastabile con assemblee di
500-600 persone in una facoltà universitaria.
Certo, la tv esisteva anche nel 68, ma allora
non esisteva il predominio del modello
televisivo. Per fare un esempio, oggi un
Federico Moccia riesce "culturalmente" più di
mille assemblee».
Allora un libro può ancora imporsi? «No, è solo
un'illusione. Il libro propaganda la cultura del
vuoto assoluto, non è un'alternativa al modello
televisivo, ma ne rappresenta un'esaltazione.
Nel 68 si imponeva Cent'anni di solitudine,
oggi sarebbe impossibile. Occorre prenderne
atto e ridimensionarsi su obiettivi più piccoli,
più concreti. Nessuno qui è così folle da
pensare a una vera rivoluzione culturale, ci
limitiamo a sognarla».
«Esistono diverse anime - prosegue il ragazzo -
ed inevitabilmente questo crea divergenze. Le
divergenze possono andare dalla "visione del
mondo" che si desidera affermare, dall'ideologia
di base fino alla singola modalità con cui
esprimere il dissenso. La sfida è quindi
raggiungere una presa di coscienza collettiva,
partendo dalle mille anime individuali. Per fare
un esempio, i professori universitari hanno
inizialmente appoggiato la protesta. Tuttavia
essi non volevano l'eliminazione della legge in
toto, ma solo della parte riguardante i tagli
salariali. Ciò ha creato l'idea, sbagliata che
il gruppo volesse in realtà difendere i
"baroni", mentre così non è».
Il ruolo dei rappresentanti? «Loro non si sono
mai visti - interviene una ragazza - i
rappresentanti si sono mossi unicamente per la
loro campagna elettorale. Sono un organo
palliativo, strutturato sul clientelismo e sul
perseguimento dell'interesse personale. Non c'è
alcun interesse degli studenti che sia
rappresentato da questi signori, politici in
erba».
E un ultimo chiarimento: «Rovesciare le urne
durante le elezioni è stata un'iniziativa
promossa da alcuni gruppi dell'interfacoltà. Noi
di Giurisprudenza ci siamo dissociati, qui non è
accaduto nulla e per questo siamo stati anche
chiamati vigliacchi. A me cadono le braccia. In
una protesta sostenuta da studenti universitari
i parametri di base non possono certo essere
questi. Esistono valutazioni di
coerenza/incoerenza, giustizia/ingiustizia,
moderazione/estremismo che sono prioritari. Il
rapportare tutto nell'ottica del binomio
coraggio-vigliaccheria è una cosa di una povertà
intellettuale e di una tristezza infiniti».