Telegiornaliste
anno III N. 44 (122) del 3 dicembre 2007
Carlo Silipo, da giocatore simbolo ad allenatore
di Pierpaolo Di Paolo
Carlo Silipo, difensore simbolo della
pallanuoto italiana e partenopea, ha aperto con il Settebello ed il
Posillipo un ciclo irresistibile.
A soli 21 anni ha conquistato l'oro
alle olimpiadi di Barcellona del '92, cui si sono aggiunti infiniti
successi:
oro agli Europei del '93, oro ai
mondiali italiani del '94, oro agli europei del '95, argento agli
europei del 2001, argento ai mondiali del 2003. A completare il suo
palmares 7 scudetti, le 3 coppe campioni,
1 coppa delle coppe e 462 presenze
per 574 gol in una squadra di club
(cifra record per un difensore).
Ritiratosi nel 2006 dalle attività
agonistiche, è il nuovo allenatore del Posillipo Napoli.
Sei considerato uno dei giocatori più
importanti della storia della pallanuoto italiana. Adesso che sei un allenatore,
questa fama non ti crea un po' di ansia da prestazione?
«No assolutamente, parliamo di cose
totalmente differenti. La carriera di un giocatore non si può paragonare a
quella di un allenatore, per tanti versi si riparte proprio da zero e quindi non
vivo nessuna ansia, sono e resto un esordiente.
Certo, un passato da giocatore significa
tanta esperienza di partite giocate, vinte sui nervi e perse su cali di
tensione, e queste son cose che ti porti in panchina e puoi trasmettere ai tuoi
ragazzi».
Quanto è cambiata la tua vita rispetto a
prima?
«Tanto. Essendo due ruoli completamente
diversi, ti impegnano anche su piani diversi.
Il giocatore, finito l'allenamento, torna a
casa senza altri pensieri. Essere un allenatore, invece, comporta un impegno e
un'attenzione costanti a tutto ciò che c'è dietro la partita, non solo gli
allenamenti ma anche le scelte tecniche, l'organizzazione, lo spogliatoio».
A 36 anni quanto è difficile prender
coscienza del fatto che si deve abbandonare la vita da giocatore? La decisione
di ritirarsi è qualcosa che si matura con serenità o passa attraverso un
delicato percorso interiore?
«Decidere di smettere non comporta nessuna
difficoltà, nessun trauma psicologico perché è una cosa naturale e si sa fin
dall'inizio che la carriera sportiva è più breve delle altre. Certo, son
decisioni importanti da maturare con calma, ma si ha anche il tempo necessario
per pensarci in tutta serenità. Del resto, non arrivi ad una scelta del genere
se non sei assolutamente convinto di quello che fai».
Essere l'allenatore di una squadra come il
Posillipo significa dover vincere. I tifosi sperano in una rivincita sul Pro
Recco. Dopo un avvio strabiliante però, la squadra ha un po' tentennato: ci sono
difficoltà impreviste?
«No, non sono d'accordo. Onestamente penso
che stiamo facendo già molto di più di quello che ci si poteva aspettare da
questa stagione. Il nostro organico è stato rinnovato molto quest'anno, abbiamo
perso un po' di qualità con un nostro straniero che è andato a rinforzare
proprio il Pro Recco e abbiamo anche inserito diversi giovani, per cui non c'è
l'ansia di dover vincere a tutti i costi. Dobbiamo pensare a crescere e abbiamo
un progetto in prospettiva che potrà portarci a vincere lo scudetto tra 3-4
anni, di certo non subito».
Prima ancora di giocare nel Posillipo hai
militato nell'altra squadra della città, la Canottieri Napoli, dove è cominciata
la tua carriera. E' possibile pensare a un tuo ritorno alle origini, in futuro?
«Io sono sempre rimasto fedele alle mie
origini: non mi sono mai mosso da Napoli. Sia con la maglia della Canottieri che
con quella del Posillipo ho sempre avuto modo di sentirmi parte integrante della
città. Adesso faccio parte del Posillipo e sono molto orgoglioso di essere qui».
Dopo esser stato per tanti anni il
capitano nonché simbolo del Settebello italiano, hai mai pensato di condurre la
nazionale anche da allenatore?
«Penso sia improponibile una prospettiva del
genere. Sono appena ad inizio carriera e le tappe si conquistano un po' per
volta. Ora penso solo a fare l'allenatore del Posillipo, il resto si vedrà».
Qual è l'episodio da giocatore che ti ha
lasciato il ricordo più forte?
«Sono tutti ricordi belli, sia le vittorie
che le sconfitte, ma di questo riesci a rendertene conto ancora di più quando
finisci la carriera. Ho vissuto tanti momenti esaltanti, dallo storico oro alle
olimpiadi di Barcellona nel '92 ai 5 gol rifilati nella finale scudetto alla Pro
Recco, ma anche tante delusioni.
Voltandomi indietro, sento di poter dire che
son orgoglioso di quello che ho fatto, mi tengo tutto e ricordo con piacere sia
i momenti difficili che i successi».
Il tuo corpo è coperto da molti tatuaggi.
Hanno una funzione solo ornamentale o ci sono dei significati precisi?
«Non sono tatuaggi semplicemente ornamentali.
Ognuno di essi ha un suo significato particolare, ma si tratta di cose
strettamente personali per cui non me la sento di renderle pubbliche».