Telegiornaliste
anno II N. 38 (70) del 23 ottobre 2006
Andrea Sarubbi, televisione da pensare
di Giuseppe Bosso
Incontriamo con piacere
Andrea Sarubbi, conduttore della trasmissione
A sua immagine e vecchio amico di
Telegiornaliste.
Da un anno hai sostituito Lorena Bianchetti nella
conduzione di A sua immagine: sei soddisfatto di questa esperienza?
«In realtà faccio parte dello staff della trasmissione dal
’99; prima che Lorena lasciasse l’anno scorso, ci alternavamo nella conduzione;
adesso, ovviamente, è aumentato il mio impegno con la Rai, per cui ho lasciato
Radio Vaticana e ora lavoro in televisione a tempo pieno, non solo come
conduttore ma anche come autore».
La tua trasmissione è ormai un punto forte della
programmazione Rai come programma dedicato alla fede: che ruolo possono
ricoprire questi temi in tv negli anni consacrati al reality e all’immagine
esibita a tutti i costi?
«La nostra trasmissione serve a far pensare. La televisione,
quando fu inventata, inizialmente svolgeva principalmente un ruolo educativo,
soprattutto con Alberto Manzi, che con il suo programma insegnava l’italiano a
tutti. Negli anni, ahimé, questo ruolo è andato progressivamente perdendosi; ma
noi della Rai, come servizio pubblico, dobbiamo svolgere proprio un lavoro in
tal senso, ed è quello che fanno, ad esempio, programmi come Mi manda Raitre.
Come puoi vedere, la nostra trasmissione cerca anche di venire in aiuto di chi
ne ha bisogno, per esempio le strutture che si occupano di disabili. Ultimamente
abbiamo fatto una puntata sul Libano mostrando le difficoltà che incontrano i
cristiani di questo Paese. Una cosa molto bella e che mi piace sottolineare è la
grande disponibilità del pubblico e soprattutto la fiducia che ha in noi: un
signore barese di 88 anni mi ha mandato un assegno che abbiamo girato alla
Caritas».
Quali sono le testimonianze e i personaggi che più ti
hanno toccato, tra i tanti che hai avuto modo di incontrare?
«Sicuramente ammiro molto i preti e le suore missionari.
Quest’estate ho intervistato una suora delle “Poverelle di Bergamo” che aveva
lavorato in Uganda, con cinque consorelle che malgrado la diffusione del virus
Ebola si erano recate lì senza paura; purtroppo morirono, e solo lei si salvò,
venendo a raccontarci la sua esperienza coraggiosa. Un altro personaggio che mi
ha colpito è il parroco di Scampia, don Aniello Manganiello, per il suo impegno
quotidiano in questa zona difficile. Ma sicuramente conserverò un ricordo
speciale di Cristina Acquistapace, una ragazza down di Sondrio di cui si è
parlato molto quest’estate perché ha preso i voti, primo caso in Italia, per una
frase che mi disse circa la sua decisione: non posso rovinarmi la vita perché
ho un cromosoma in più».
Il tuo approdo alla conduzione di A sua immagine
coincide, quasi, con la scomparsa di Papa Woytila e
l’avvento di Papa Ratzinger; credi che il pontefice tedesco riuscirà almeno in
parte a raccogliere l’eredità di Giovanni Paolo II, che ha lasciato una traccia
incancellabile nella storia non solo della Chiesa?
«Credo che da lui dobbiamo aspettarci le stesse cose,
sebbene stiamo parlando di due persone molto diverse. Malgrado possa apparire
duro, credo che Ratzinger sia molto diverso e sicuramente lascerà il segno. Come
il suo predecessore ha capito che prima di affrontare il mondo è importante
rendere la Chiesa più santa».
In riferimento agli ascolti che la tua trasmissione
ottiene, ritieni che la collocazione nella fascia mattutina della domenica e del
pomeriggio del sabato sia giusta oppure penalizzante?
«Il sabato è da anni una fascia molto penalizzata,
soprattutto per la concomitanza del campionato di serie B, a maggior ragione
quest’anno che per me (ride, ndr) da buon juventino è una sofferenza; il
calcio del sabato assorbe quasi il 35% di share, per cui siamo decisamente
svantaggiati. La domenica, per contro, riusciamo a fare meglio anche perché
fungiamo da spartiacque tra l’Angelus e la messa, che rendono favorevole il
momento per gli ascolti. Penso che in futuro la nostra sfida sarà proprio
cercare di aumentare gli ascolti del sabato».
In futuro continuerai a seguire il filo legato alla fede
e alla religione oppure cercherai nuove strade?
«Il mio scopo è fare cose interessanti, programmi che
servano alla gente per riflettere. E spesso mi chiedo se quello che faccio
riesca a giungere a questo scopo. Di sicuro non potrei mai trovarmi a mio agio
in un varietà o in programmi privi di contenuto, non mi ci vedo proprio».
Anche tua moglie Solen è giornalista; l’esercitare la
stessa professione come si ripercuote nella vita di coppia?
«Beh, intanto c’è da dire che non ci saremmo mai incontrati
se non avessimo fatto lo stesso lavoro, in quanto lei conduceva la versione
francese del programma radiofonico
Jubilaeum, che io conducevo per l’Italia. Tra noi c’è un
continuo confronto, ad esempio la sera quando seguiamo la politica estera dei
tg; viviamo un momento molto sereno, soprattutto perché aspettiamo il nostro
primo figlio».