
Telegiornaliste 
									anno IV N. 15 (140) del 21 aprile 2008
Fabio Santini: club italiani, puntate sui giovani!
  di Giuseppe Bosso
  
  Fabio Santini, milanese, è 
giornalista professionista dal 1980. Alle spalle, una lunga esperienza: 
collaboratore per Il Giorno, redattore di Sorrisi e Canzoni TV. 
Nel 1992 arriva a l'Indipendente come caporedattore. Ancor oggi collabora 
con Vittorio Feltri a Libero per spettacoli, attualità, economia e sport. 
Varie parentesi nella radio e nel teatro, fino a Il processo di Biscardi 
e a Diretta Stadio su 7 Gold dove attualmente è ospite fisso. 
  
  L’ennesima vittima del calcio violento è la dimostrazione che ci stiamo 
abituando a queste tragedie? 
  «Assolutamente no. L’indignazione del momento è sempre forte, come nei casi di 
Raciti e di Sandri, ma sono episodi che esulano completamente dal calcio che è - 
e deve rimanere - uno sport e un gioco. Piuttosto, questi episodi nascondono un 
grave problema che è fortemente trascurato e cioè un grande disagio giovanile. 
Da qui nasce la violenza, non certo dal calcio». 
  
  Per il secondo anno consecutivo abbiamo tre squadre inglesi semifinaliste 
in Champions League. Quale deve essere l’insegnamento che può trarne il calcio 
italiano? 
  «L’Italia è campione del mondo come nazionale, ma non ha vinto quasi nulla a 
livello di club, a parte i trionfi del
  Milan 
  dell’ultimo anno; l’Inghilterra va male come nazionale, eppure i suoi club 
riescono ad andare avanti nella massima competizione europea. Il problema è che 
le nostre squadre, in questi anni, hanno speso tanto per acquistare stranieri 
che, a lungo andare, si sono rivelati deludenti, salvo qualche eccezione, e 
hanno trascurato quella indispensabile e fondamentale risorsa che è il settore 
giovanile. Ci sono squadre come l’Atalanta 
  e il Napoli 
  che hanno in questo senso una grande tradizione, ma i grandi club hanno 
seguito un altro tipo di politica gestionale e i risultati che abbiamo visto ne 
sono stata la logica conseguenza. Spero che nei prossimi anni, per colmare il 
gap che attualmente ci separa dalle squadre d’oltremanica, si torni a puntare di 
più su questi ragazzi italiani che vogliono emergere». 
  
  L’Inter di oggi è più 
antipatica della
  Juve 
  dell’era Moggi? 
  «No, l’antipatia per le vittorie dell’Inter 
  di oggi, così come quelle della Juve di Moggi, è frutto di quell’umano 
sentimento che nasce sempre nei confronti del trionfatore. In ogni caso, come i 
nerazzurri stanno vincendo con merito, altrettanto con merito i bianconeri hanno 
ottenuto i loro successi in passato». 
  
  Dopo Calciopoli, comunque, non può dirsi che il clima nel nostro campionato 
sia dei più sereni: basti pensare alla “classifica senza errori arbitrali”...
  
  «Quell’iniziativa fa parte di una battaglia che da anni Aldo Biscardi e il suo
  
  Processo stanno conducendo nella speranza di estendere anche al 
calcio, come già succede nelle altre discipline, l’impiego in campo della 
moviola. E' un progetto che sostiene anche Diretta Stadio che ha dedicato 
alcune puntate all’argomento. Gli errori arbitrali, a mio giudizio, alla fine 
bene o male si compensano, anche se ci sono squadre come la
  Reggina 
  che sono state penalizzate più di altre. I primi a volere l’impiego della 
tecnologia in campo sono proprio gli arbitri, ma questo rimarrà utopico fino a 
quando i signori del governo del calcio, la Fifa, faranno orecchie da 
mercante…». 
  
  Ti gratifica di più la partecipazione ad un programma storico come il 
  Processo o la conduzione di Mai visto alla radio, ogni domenica su
  Rtl 102.5? 
  
  «Radio e televisione sono due strumenti completamente diversi, a dispetto di 
quanti sostengono il contrario. Il programma radiofonico mi vede in veste di 
conduttore, mentre al Processo partecipo come opinionista: due spazi 
differenti, ma entrambi gratificanti perché permeati sulla mia personalità 
professionale». 
  
  Sempre a proposito di Biscardi e del Processo, spesso vi 
rimproverano per i toni accesi in trasmissione… 
  «Sì, ma è una cosa che fa parte del Dna del programma, e Aldo sa benissimo che 
la dialettica, anche se impostata in termini accesi, fa audience. Ma questo non 
toglie che tra di noi ci sia una grande stima reciproca».