Telegiornaliste
anno IV N. 18 (143) del 12 maggio 2008
Diego Sanchez: il mio omaggio a Frank Sinatra
di Valeria Scotti
Attore, cantante, musicista. Tutto questo è Diego Sanchez, artista
napoletano. Dopo le prime esperienze come animatore in alcuni villaggi turistici
e numerose partecipazioni televisive - La sai l'ultima?, La squadra - da
anni Diego si dedica al teatro, lavorando accanto a grandi nomi del palcoscenico
italiano. Attualmente è il direttore artistico del
Cabaret Portalba,
teatro del centro storico di Napoli.
E’ partita in questi giorni la rassegna Non solo Cabaret al Cabaret
Portalba…
«Sì, il mio rapporto con il Cabaret Portalba è nato nel 2001, quando decisi di
creare una mia compagnia. La proposta piacque ai proprietari di allora e
debuttai qui. E’ andata bene: oggi la compagnia di Diego Sanchez riesce a
portare avanti sempre nuovi spettacoli, soprattutto musical, con un centinaio di
date all’anno. Lo scorso anno mi è stato proposto di diventare il direttore
artistico del Cabaret e dal settembre 2007 ho preso la gestione completa. In
questa struttura interpreto i miei spettacoli e ospito quelli degli altri
artisti. Inoltre, siamo tornati a proporre veri e propri spettacoli dal telaio e
dalla struttura teatrali, completi di scenografia, disegno luci e regia».
Il 13 maggio ci sarà il debutto di un tuo lavoro dedicato a Frank Sinatra. Ce
ne parli?
«Mr Frank, storia di un mito, è l’omaggio a un grande personaggio che ha
lasciato nella memoria di tutti noi un ricordo vivissimo. Sinatra è l’emblema di
uno stile unico nel fare spettacolo. Il caso vuole che il 15 maggio ricorra il
decennale della sua scomparsa. Lo spettacolo racconta la storia di Sinatra, le
vicende legate alla mafia, a John Kennedy, ma parla soprattutto delle tantissime
donne che il cantante ebbe, anche se il suo unico grande amore fu Ava Gardner.
Io interpreto un probabile figlio segreto che, alla fine, scoprirà in realtà di
non esserlo».
Sei un personaggio polivalente: ti muovi tra recitazione, danza, canto. Oggi
quanto è importante essere completi?
«Nasco come musicista, cantante e pianista, poi ho scoperto la passione per la
recitazione che mi ha portato ad approfondire lo studio legato allo spettacolo.
Amo definirmi un artista, non per presunzione, ma perché credo sia il termine
più giusto per abbracciare le varie arti. Ho iniziato giovanissimo, l’anno
prossimo festeggerò vent’anni di carriera e ho sempre sentito la necessità di
approfondire tutte le discipline, anche dal punto di vista della performance
tecnica. E’ importante conoscere il “dietro le quinte” anche se oggi sono
accompagnato da una squadra di giovani tecnici che mi dà un grande sostegno. La
completezza aiuterebbe a evitare la mediocrità che abbiamo attualmente nel mondo
dello spettacolo. I vari reality show stanno rovinando il panorama italiano e
molti giovani non conoscono la figura del teatrante, cioè di colui che si è
sempre prodigato e ha vissuto il teatro in una certa maniera».
A proposito di teatro e tv, proprio in questo numero di Telegiornaliste
c’è la nostra intervista a
Pino Strabioli…
«Strabioli è un personaggio che vive di teatro. L’ho conosciuto a Roma durante
la sua tournée, Capasciaqua - uno spettacolo bellissimo - e questa è la
prova che i lavori interessanti ci sono, portano pubblico a teatro e che si può
fare teatro e televisione insieme. Nel suo programma riesce a dare dei bei
segnali, a insegnare: si distacca completamente da quello che attualmente ci
propinano e che è diventato trash, inutile e mediocre. Peccato solo che
Cominciamo Bene Prima vada in onda di mattina, una fascia orario alquanto
limitata».
Tra le tue esperienze passate, ci sono grandi nomi. Come è stato lavorare con
loro?
«Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi personaggi legati al teatro: Giacomo
Rizzo, Raffaele Paganini, Beppe Vessicchio, Claudio Insegno. Questi artisti non
hanno mai fatto pesare il loro nome e sono riusciti a trasmettere la loro lunga
esperienza. Giacomo Rizzo, il mio maestro per la comicità legata al teatro
napoletano, è un attore a tutto tondo: dopo sessant’anni e più di carriera è
tornato al cinema con L’amico di famiglia di Paolo Sorrentino e ha vinto
dei premi. Giacomo mi ha trasmesso l’educazione teatrale, la professionalità e i
tempi comici. Quanto a Paganini, mi ha trasmesso la passione per la danza,
l’umiltà, l’eleganza, la serenità e la leggerezza nell’affrontare i problemi.
Ricordo un episodio: eravamo in tournée a Milano con Rodolfo Valentino ed
ebbi con alcuni miei colleghi un problema con l’auto. Quella sera dovettero
intervenire i nostri sostituti in scena. Tra il primo e il secondo atto, mentre
l’amministratore di compagnia ci rimproverava, Raffaele prese le nostre difese e
disse: “L’importante è che non capiti più”, con una grande calma che
probabilmente, al suo posto, non avrei avuto. Vessicchio mi ha contagiato ancora
di più la passione per la canzone napoletana, quella non sguaiata. E Claudio
Insegno è il fratello maggiore che non ho mai avuto. E’ di una grande simpatia,
allegria e professionalità. Quest’anno debutterò con un nuovo spettacolo diretto
proprio da lui».
Possiamo dire che la comicità napoletana ha una marcia in più?
«Sono dell’idea che non sia la comicità napoletana ad avere una marcia in più.
Probabilmente abbiamo una dote in più rispetto agli altri: i tempi comici. Parlo
della predisposizione a far sì che, nel momento in cui c’è una domanda o una
situazione, riusciamo a dare la risposta nel giusto tempo metrico musicale.
D’altronde, come insegna Giacomo Rizzo, la comicità è musica».