|  Telegiornaliste 
	anno II N. 14 (46) del 10 aprile 2006 
 Luca Rigoni, cinema mon amour
	di Antonella Lombardi
 Parliamo di cinema con Luca Rigoni.
 Luca, oggi sei caporedattore della redazione esteri del Tg5, mentre 
	all’inizio della tua carriera volevi fare il giornalista di cinema.
 «No, io volevo fare il cinema, non volevo fare il giornalista di cinema. Ho 
	fatto il giornalista di cultura e spettacolo – ho iniziato presto, nel primo 
	anno dell’università - perché mi sarebbe piaciuto molto occuparmi di cinema 
	e, venendo dalla provincia profonda del Nord, cioè da Trento, la via più 
	semplice mi sembrava farmi accreditare ai festival di cinema per entrare in 
	contatto con quell’ambiente. Dopodiché l’ambiente giornalistico mi ha 
	attirato e sono rimasto a fare il giornalista. Per un periodo occupandomi di 
	varie cose, anche di cultura e spettacolo e via via sempre più di esteri. 
	Sono grato, molto grato, sia al tipo di lavoro che ho fatto, che alla sorte 
	che mi ha condotto sempre più verso gli esteri, dato che poi mi sono trovato 
	molto bene a occuparmi di politica estera e di notizie dal mondo».
 
 Quindi l’interesse per il cinema è nato dai festival o ancora prima?
 «No, da prima ancora, dagli anni del liceo, poi mi sono laureato 
	all’università con una tesi in storia del cinema».
 
 Continui ancora a occuparti di cinema, magari sporadicamente, o è rimasta 
	solo una passione?
 «E’ rimasta una mia passione, anche se tendo sempre di più a rivedere i 
	classici o i grandi film della Nouvelle Vague, Godard, Truffaut, 
	oppure il cinema americano degli anni Settanta, piuttosto che le cose 
	contemporanee, che cerco comunque di seguire; ogni tanto torno anche ai 
	festival, a Venezia o anche rassegne minori. Amici che nel frattempo si sono 
	fatti strada nella direzione dei festival molto generosamente e cortesemente 
	mi invitano, ma tendo a occuparmi più che altro di classici e a leggere una 
	vasta bibliografia di storia del cinema e analisi dei film».
 
 Cinema e giornalismo d’inchiesta. Tanti gli esempi nella storia del cinema, 
	ultimo arrivato il 
	film di George Clooney. Il tuo punto di vista su questo film?
 
 «Mi è sembrato un ottimo film, conoscevo benissimo la vicenda del 
	protagonista, 
	Ed Murrow, il grande giornalista americano radiofonico, poi televisivo, 
	anche perché ho lavorato e vissuto per diversi anni in America: e Ed Murrow 
	è stato ed è un mito del giornalismo indipendente, d’inchiesta, oltre che 
	l’inventore delle broadcast news: il giornalista come “cane da guardia del 
	potere” secondo la famosa interpretazione e formula americana. Detto questo, 
	ci sarebbero alcune cose da specificare, come hanno fatto anche alcune 
	riviste prestigiose come per esempio il New Yorker: non sempre la 
	mitologia corrisponde esattamente alla realtà dei fatti, ci sono dettagli 
	nella storia di Murrow che mostrano come, in fondo, quando lui sferrò il suo 
	attacco al maccartismo nel 1954, questo era già in fase calante, mentre il 
	maccartismo più terribile fu quello degli anni 1948-52, quando fecero fuori 
	una fetta di Hollywood con una serie di testimonianze impressionanti.
 Invece, quando Murrow decise di muovere all’attacco, ormai il senatore 
	McCarthy era stato abbandonato dal presidente Eisenhower: ancora un po’ e 
	sarebbe stato messo fuori gioco. Clooney ha fatto sì un’opera meritoria, 
	importante, ma, ecco, Ed Murrow, pur grandissimo, non è stato quell’eroe 
	solitario che spesso viene rappresentato».
 
 Stiamo assistendo a grandi ritorni alla regia, come Woody Allen con 
	Match Point, quasi un “esordio” con un film drammatico in cui sembra 
	rinunciare alla cifra stilistica che più lo ha caratterizzato finora…
 «Woody Allen però ha sempre avuto un côté drammatico molto forte, basti 
	pensare ad alcuni film che ha fatto nel corso della sua carriera e, anzi, se 
	mai c’è un suo film al quale Match Point si lega è Crimini e 
	misfatti, dove ci sono più o meno tutti questi temi, il delitto e il 
	castigo o, per meglio dire, il delitto e il non castigo, per esempio; certo 
	in Crimini e misfatti c’era poi Woody, come interprete, che colorava 
	il tutto con il suo umorismo amaro; non è che Match Point in fondo 
	sia un’eccezione, casomai uno sviluppo».
 
 E poi Coppola, che torna alla regia dopo tanti anni di assenza. Come vedi il 
	ritorno di questi “mostri sacri” del cinema oggi?
 «Coppola torna dopo nove anni di assenza. Mi sembra normale, anche Fellini 
	ha cercato di fare film fino a quando poi, ahimé, se n’è andato; non so come 
	sarà il prossimo film di Coppola, certo un film d’autore, con basso budget, 
	girato nell’ex Europa dell’Est… Sicuramente per Coppola è un rimettersi in 
	gioco totalmente e radicalmente, cioè abbandonare il grosso budget, fare un 
	film piccolo… E lui lo ha detto chiaramente, lucidamente. C’è un suo diario…
 Sul ritorno di Coppola al cinema, mi è anche capitato di scrivere una 
	paginata sul Foglio
	qualche mese fa (l'articolo si trova a pagina 8 del Foglio del 31 dicembre 
	2005,
ndr); Coppola ha dichiarato di voler cercare di tornare ad essere il 
	regista che sognava di essere da giovane, prima dei grandi successi, un 
	autore “all’europea”, e quindi di voler fare un film scritto, prodotto, 
	diretto e montato interamente da lui, uno “sfizio”, insomma, che si può 
	togliere a 67 anni (Coppola è nato nel 1939, ndr), mentre ha una 
	figlia, Sofia, che nel mondo del cinema, attualmente e, vorrei dire, 
	paradossalmente, conta quasi più di lui».
 
 Infine, che consiglio darebbe a un giovane interessato a diventare oggi, 
	giornalista di cinema: ha ancora senso come specializzazione?
 «Abbiamo appena detto (il riferimento è nella seconda parte 
	dell'intervista, online dalla prossima settimana, ndr) che il cinema 
	italiano, a parte alcuni casi, è moribondo o quasi!(ride, ndr)».
 
 Beh, c’è anche l’estero…
 «Sì, sì, assolutamente… Certo che fra un po’ ci saranno più giornalisti, 
	critici, esperti di cinema che registi, sceneggiatori e produttori, anzi è 
	già così, è sempre stato così, in realtà, ma adesso in misura esponenziale. 
	Quello del giornalista di spettacolo è comunque un lavoro bellissimo, 
	secondo me; e l’ambiente è divertente, stimolante, al netto del tasso di 
	routine che ogni settore, anche giornalistico, e compreso quello degli 
	esteri, contiene; il giornalismo, sappiamo bene, è fatto anche di tanta 
	routine, oltre che di grandi passioni, emozioni e divertimento.
 Detto questo, ricordati che sono pochi quelli che riescono ad occuparsi di 
	cinema con uno stipendio fisso. Io suggerirei a chi è interessato, di 
	verificare bene le proprie capacità, le proprie competenze, mettersi in 
	gioco, certo, ma con un occhio al lato, come dire, “pratico” della vita, che 
	non guasta; solo pochi tra i miei molti amici che amavano e amano il cinema 
	ne hanno alla fine ricavato un soddisfacente stipendio, molti si sono dati 
	ad altre attività».
 
 E in questo hai notato un cambiamento rispetto agli anni precedenti o è 
	sempre stato così?
 «Forse, in fondo, è sempre stato così. Ma non guasta sognare. E non guasta 
	fare dei propri sogni la propria vita».
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