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Intervista a Luca Rigoni (1) tutte le interviste
Telegiornaliste N. 30  del 5 dicembre 2005

Luca Rigoni, giornalista del mondo di Filippo Bisleri

Oggi è il caporedattore della redazione Esteri del Tg5 Mediaset, ma Luca Rigoni arriva al giornalismo da una grande passione per il mondo dello spettacolo. Praticamente, per il suo 27° compleanno si è regalato la qualifica di giornalista professionista.
Lo abbiamo incontrato a Roma qualche giorno fa.

Insomma, Luca, il giornalismo ti è sempre piaciuto?
«Molto, ne sono innamorato. Ho scelto di fare il giornalista perché mi piaceva molto questo mondo. Beh, mi piace ancora. Pensavo di fare il giornalista di cinema, poi ho cominciato a collaborare con l’Adige per la cronaca. Quindi sono stato a New York per Rai Corporation e sono approdato al Tg5 nel 1992, quando ancora non c’erano scrivanie per tutti».

Una carriera giornalistica divisa tra carta stampata e tv
«Beh, in effetti è così, perché dopo l’Adige ho collaborato con riviste di spettacolo di livello nazionale e quindi ho scritto per Il Mattino di Napoli. Arrivato al Tg5, però, ho cominciato a fare qualche conduzione di tg prima notturna e poi in orari serali o di pranzo fino a cominciare ad occuparmi di esteri della cui redazione sono ora caporedattore. Grazie al mio precedente direttore Enrico Mentana ho potuto seguire molto il mondo americano intervistando presidenti Usa, Colin Powell e Condoleeza Rice. Ma sono stato anche in Medio Oriente e ne ho seguito le dinamiche così come ho avuto la fortuna di condividere lo stesso alberghetto con la mitica Ilaria Alpi, davvero una grande giornalista».

Trovi che il modo di lavorare in tv e nella carta stampata abbiano grandi differenze?
«Sono estremamente diversi come mondi. In tv devi saper valorizzare le immagini, sulla carta stampata devi saper scrivere bene. Il giornalista della carta stampata spesso può raccontare senza avere per forza le immagini, mentre la tv vive di immagini e ti costringe sempre a stare in prima linea o a non poter realizzare un servizio. Anche perché, senza immagini che tv sarebbe?».

Un passato da conduttore e ora molti servizi in esterna. Hai preferenze tra studio ed esterna?
«Nessuna preferenza. In questa fase sto coordinando il lavoro della redazione Esteri e lo faccio con molta tranquillità grazie a valide colleghe e altrettanto validi colleghi oltre ad un bravo direttore come Carlo Rossella. Personalmente seguo molto la vita politica americana e, pensando a questo aspetto, devo dire che l’emozione dei servizi in esterna è decisamente superiore a quella dello studio. Che, invece, chiede una grande capacità di coordinamento perché, in quel momento, sei tu il rappresentante di tutta la redazione».

Quali servizi e personaggi ti hanno emozionato di più?
«Direi il viaggio sulla “barca dei monatti” dopo l’alluvione a New Orleans, ma anche la tristezza e l’angoscia di dover raccontare, a Ramallah, l’uccisioen del fotografo italiano Raffaele Ciriello. Non posso poi dimenticare le interviste ai segretari di Stato Colin Powell e Condoleeza Rice».

Chi ti ha insegnato di più a livello giornalistico? Hai qualche modello?
«La gran parte di quello che so, forse tutto, lo devo a Enrico Mentana, anche se pure con Carlo Rossella sto imparando molto. O, almeno, ci provo. Al pubblico dire se i nostri servizi di esteri sono ben fatti e documentati. Tra i miei modelli di giornalismo cito gli americani. Il primo che mi viene in mente è Ted Koppel, conduttore della trasmissione di approfondimento, Night line fino a due anni fa. E poi Dan Rather, conosciuto in tutto il mondo. In Italia apprezzo il lavoro di Sergio Zavoli e tanti giornalisti della carta stampata».

Caporedattore Esteri, dunque autore della scaletta del tg?
«Contribuisco portando le mie proposte come tutti i colleghi che coordinano altri settori della redazione, anche perché poi le decisioni le prendono direttore e vice direttori. Ma, certamente, la riunione di redazione, una per ogni edizione del tg, è il motore del nostro lavoro che ha il suo “cuore” nelle vicende di cronaca».

Quali consigli daresti ad un giovane che vuole fare il giornalista?
«Non sono bravo a dare consigli, ma avverto tutti che, solo rispetto a pochi anni fa, questo mestiere è cambiato radicalmente. Non so se, come ragazzo, deciderei di intraprendere questa carriera, anche perché oggi il lavoro si fa sempre più difficile, è sempre più faticoso, per un ragazzo, trovare spazi e, soprattutto, il posto di lavoro. Aprono nuove testate, ma le assunzioni latitano. Sembra che anche i grandi quotidiani non assumano più e il giornalismo rischia sempre di più la precarizzazione. Non a caso editori e Fnsi (il sindaco giornalisti, ndr) stanno avendo un vivace scontro sul rinnovo contrattuale con il sindacato, che vuole evitare che i giornalisti siano precari e condizionati nel loro importante lavoro di informazione».

 
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