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Intervista a Platinette tutte le interviste
Telegiornaliste anno III N. 37 (115) del 15 ottobre 2007

Platinette, tra tv e carrello della spesa di Valeria Scotti

E’ sottile il connubio tra la bionda Platinette e la sua vera identità dagli abiti meno appariscenti, Mauro Coruzzi.
Da anni ormai, Platinette è un’immancabile presenza nella radio e nella tv italiana. Sarcasmo e occhio critico, ma anche disponibilità nel parlare di tutto. Non solo del piccolo schermo.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Mauro - e il suo alter ego - a Milano.

La tv di oggi: disagio e inadeguatezza di alcuni personaggi. Qual è il suo pensiero?
«Faccio parte della schiera di persone inadeguate. Non ho nessun talento e devo ringraziare qualche santo o il destino per ciò che è accaduto. Non sono d’accordo sul fatto che la tv sia fatta di incompetenti e incapaci. E’ lo specchio del tempo attuale, così come lo era la televisione degli anni Sessanta: una tv che corrispondeva al boom economico, alla rinascita, ai ceti meno abbienti che diventavano più benestanti.
Oggi non c’è bisogno di un talento specifico per diventare qualcuno. Semmai, in televisione, questo è l’ultimo anello di una catena. E’ necessario il talento per andare a sgambettare quando direttori di multinazionali o di banche sono inquisiti al pari di delinquenti di natura meno popolare? Se la nostra è un’esistenza al confine con l’irreality, la televisione corrisponde al Paese».

Perché tanto interesse verso i reality?
«Perché in quest’epoca è difficile condurre una vita reale. Almeno nelle grandi città sembra essere questo il tenore dei rapporti. Non si conosce il vicino del pianerottolo ma si spia la vita di qualcun altro in tv. Non ho un’etica che mi impedisca di guardare i reality e di apprezzarli. Anzi, per molti versi li adoro. E vorrei conoscere l’alternativa per quelli che li criticano. Milleluci cinquant’anni dopo? Studio Uno senza Mina? Alcuni reality sono belli, altri meno. L’importante è che ci sia l’assortimento.
Mi spiace solo che non ci sono reality per anziani. Ma mi rendo conto che la televisione punta ai giovani e che questi vogliono rivedersi in tv».

Lei è stato opinionista di Amici e protagonista di alcuni battibecchi con il pubblico. Pensa che questo abbia potuto rendere più feroce la competizione tra i ragazzi in gara?
«Mi piace la discussione animata, il confronto, il perorare delle cause e non dare tutto per scontato. Non ho voglia di accomodamenti, soprattutto quando sono ad Amici. Lì ho una parte che mi inorgoglisce. Mi occupo di musica da molto tempo per cui ho la presunzione di saperne abbastanza per poter giudicare l’operato dei ragazzi. Amici è l’unica trasmissione dove il talento viene messo in luce, dove si dà la possibilità di proporsi. Basta con le critiche ingiustificate verso l’unico programma che dà spazio al talento quotidianamente e, per alcuni mesi, anche in un appuntamento serale».

Recentemente ha vinto la Radiogrolla come miglior voce femminile. Il programma mattutino Platinissima, su Radio Deejay, è una sua creatura. Cosa rappresenta per lei questa radio?
«Anno dopo anno, mi viene data la possibilità di fare il mio primo lavoro. Nasco infatti come figlio della prima radio libera italiana a Parma, nella metà degli anni Settanta. La televisione è un qualcosa in più. Radio Deejay è la numero uno tra le radio private e mi dà la possibilità di mostrare un altro aspetto di me. Forse migliore rispetto a quello televisivo».

Parrucche, make-up, paillettes. Platinette quanto è simbolo di omosessualità?
«Io sono così per una questione di “compensazione artistica”. Non sono simbolo di qualcuno o di qualcosa, anzi ho un rapporto conflittuale con le associazioni che rappresentano gli omosessuali, che si candidano in politica e dicono ad esempio che i gay sono tutti di sinistra. Preferisco pensare che sono una persona libera e come tale, se qualcuno trova interessante ciò che faccio, ben venga. Se poi è omosessuale o etero, è l’ultimo dei miei problemi».

Lei ha masticato tv, radio, teatro. Ha scritto una biografia, ha cantato. In cosa si ritrova maggiormente?
«In nessuna. Preferisco prendere il carrello e andare a fare la spesa. In quello sono imbattibile. Ho un vero talento nel cercare i cibi più calorici, nello spendere il più possibile e nel sentirmi mediamente in pace con me stesso quando il frigorifero è pieno, pienissimo. Se avessi mai un momento di debolezza, so che aprendolo, troverei una risposta ai miei desideri. Nella vita non è così facile. In cucina un po’ di più».

Se Mauro Coruzzi non fosse stato Platinette?
«Credo sarei diventato prima un insegnante e poi un bravo professore di italiano. Mi sarebbe piaciuto e in fondo, questo è un po’ un rimpianto».

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