Telegiornaliste
anno IV N. 40 (165) del 10 novembre 2008
Antonella Petitti, tra vino
e informazione
di Giuseppe Bosso
Nata a Foggia, dove ha mosso i primi passi in
un’emittente radiofonica,
Antonella
Petitti è giornalista pubblicista. Autrice e
conduttrice di Show Wine, rotocalco di
informazione enogastronomica in onda su Sky al
canale 987, è anche direttore del magazine
Itinere, mensile di attualità, politica e
cultura.
Da cosa nasce il tuo programma Show Wine?
«Dall’interesse e dal boom che la produzione
enogastronomica ha riscoperto dopo il triste
scandalo del metanolo. E' un’esperienza molto
gratificante per me».
Mesi fa ha fatto molto discutere l’inchiesta Velenitaly pubblicata da
L’Espresso. Che idea ti sei fatta in proposito?
«Tutti i campi, tutti i settori, hanno le loro
mele marce, e anche quello dei produttori di
vino non sfugge a questo aspetto. Tuttavia
ritengo che in questo caso ci sia stata anche
una certa voglia di rompere le scatole a una
rassegna importante e prestigiosa come
Vinitaly».
Il vino è ultimamente nel mirino anche per la piaga sempre crescente degli
incidenti stradali, spesso mortali, causati
proprio dall’alcool. Un programma come il tuo
può diffondere un messaggio di
responsabilizzazione?
«Certo. E' un dovere dell’informazione e io mi
sono prefissata questo scopo, non solo in
riferimento alla questione degli incidenti
stradali, ma a quegli aspetti sociali che sono
in qualche modo legati al vino e al cibo in
genere. Non condivido la tendenza che hanno i
media di cercare sempre e comunque lo scandalo
ad ogni costo pur di fare notizia. Il compito
del giornalista è quello di essere obiettivo ed
affrontare argomenti importanti per il pubblico,
senza incentrarsi ad ogni costo su questo tipo
di notizie».
Vino come arma di seduzione: sei d’accordo?
«Se dosato, certamente. Si può condividere una
passione come il vino e ciò costituisce ancora
di più un momento d’incontro».
Parliamo di Itinere. Da cosa nasce?
«Nasce dall’incontro di un gruppo di persone con
gli stessi obiettivi. Ero alla ricerca di uno
spazio indipendente per trattare argomenti di
interesse generale ed è nato così questo nuovo
mensile di cui sono il direttore responsabile.
Abbiamo cominciato nel novembre del 2007, e
oltre che per abbonamento, il magazine è
reperibile in alcune edicole di Salerno. Il
nostro obiettivo è quanto prima di giungere
anche nelle edicole».
I redattori uomini hanno mai avvertito imbarazzo nell’avere un capo donna?
«Non credo, anche se magari, nei primi tempi,
c’è stata una fase di diffidenza che è stata
ampiamente superata. In ogni caso, ci tengo a
sottolineare come il maschilismo sia tardo a
morire: infatti è ancora oggi difficile vedere
una donna ricoprire cariche importanti. La
nostra mentalità è ancora legata all’immagine
della donna relegata alla responsabilità della
casa e della famiglia, ed è inevitabile che
questo si ripercuota sul lavoro».
La tua più grande soddisfazione?
«Sicuramente quella di poter giungere, tramite
Show Wine, nelle case delle persone e poter
parlar loro, essere riconosciuta. Credo
fermamente nel contatto diretto con la gente e
amo comunicare in maniera semplice perché è
questo, secondo me, il vero giornalismo: non
relegato nel chiuso della redazione, ma alla
continua ricerca di notizie».
Come vivi il rapporto con Salerno? Quali sono i problemi del fare
informazione in una realtà molto diversa da
quella di Napoli?
«Vivo a Salerno da molti anni ormai. Temo però
di non poter rispondere in maniera esauriente
alla domanda, poiché non faccio cronaca nel
senso tradizionale del termine. In generale,
penso che nel nostro Paese sia molto difficile
operare in un settore in cui chi tiene le redini
del potere è in grado di condizionare le scelte
degli editori e dei giornalisti. Nei paesi
anglosassoni, questo è inconcepibile. Non è
facile per nessuno inserirsi se non si hanno
appoggi e conoscenze, la meritocrazia è ancora
un’utopia».
Quali sono le difficoltà che incontri nel conciliare lavoro e vita privata?
«Tra il programma, il magazine e varie serate in
cui mi diletto a fare la presentatrice, ho
davvero una vita piena dal punto di vista
professionale, e considerando che sono una
dormigliona (ride, ndr) non è facile
conciliare il tutto con gli affetti. Ma dopo 15
anni in cui vivo queste realtà, ho imparato
anche a saper selezionare le cose: se posso
rinunciare a qualcosa per la famiglia, lo faccio
molto volentieri».
I colleghi che ti hanno più colpita, tra quelli che hai incontrato?
«Ho conosciuto
Pino Scaccia e mi ha fatto una buona
impressione. Stimo molto
Mimosa
Martini che ho avuto modo di incontrare per
una premiazione. In passato ho accarezzato il
sogno di fare l’inviata di guerra, ma quando è
scoppiata la guerra in Iraq sono sorte molte
difficoltà che mi hanno indotta a rinunciare. E'
un aspetto affascinante del nostro mestiere, ma
i rischi sono notevoli e lo capisci da tante
cose, a cominciare dalle compagnie di
assicurazione che dopo i tanti sequestri che si
sono verificati, non coprono più con facilità i
giornalisti che si recano in questi luoghi».
Quanto conta l’immagine per una giornalista?
«E' un aspetto importante, ma alla fine è
essenziale il modo in cui ti poni agli altri».
Un aggettivo per definire Antonella Petitti?
«Ce ne sono due: elefantiaca ed eclettica. Il
primo per dire che credo di essere una persona
scomoda, ma non in senso negativo come potrebbe
far pensare la parola stessa. Voglio essere
sempre presente nelle scelte sul lavoro, non
riesco proprio a stare zitta e ad accettare
tutto così come mi viene posto! Eclettica,
invece, perché mi piace fare tante cose,
interessarmi di vari settori. A marzo è uscito
il mio primo libro in cui ho inserito i miei
pensieri e molte delle poesie che scrivo da
quando ero bambina».
Come mai, secondo te, il pubblico - non solo maschile - ha molto interesse
per le telegiornaliste?
«Credo che la televisione abbia la tendenza di
suscitare interesse, e se a questa unisci una
donna piacente... beh, è un binomio vincente!».
L’apprezzamento più bello che hai ricevuto dalla gente?
«Sentirmi dire che riesco a parlare in modo
semplice e comprensibile anche di cose che
richiedono particolari cognizioni tecniche.
Indubbiamente il settore dell’enogastronomia e
della produzione vitivinicola ha un linguaggio
tecnico non facilmente comprensibile a chi non
opera nel settore. E' una cosa a cui tengo molto
e sulla quale concentro molta attenzione».