Telegiornaliste anno II N. 9 (41) del 6 marzo 2006
Pastanella, il tgista del G8 di Genova
di Filippo Bisleri
Trovare Alberto Pastanella,
dinamico caposervizio e corrispondente dalla sede di
Genova
del Tg5,
è un’impresa. Alla fine, però, il meeting è riuscito, e abbiamo così
potuto rivolgere al giornalista del Tg5 alcune domande per
sapere da lui come legge la professione giornalistica e il sistema
informativo in generale.
Come hai scelto di fare il giornalista?
«Quando da bambino mi chiedevano cosa volevo fare da grande
rispondevo senza esitazioni. Forse perché Topolino era
giornalista. Poi ho cominciato le collaborazioni anche per avere una
specie di indipendenza economica durante l'università. Il mestiere è
affascinante e così mi è entrato nel sangue».
Cosa ti piace di più della professione giornalistica?
«Ritengo sia un privilegio "andare, vedere e raccontare"
le cose agli altri. Capire quel che è accaduto, decidere
quali siano gli elementi più importanti o interessanti di una
notizia e fare da tramite perché anche il pubblico capisca bene gli
avvenimenti».
Cosa significa essere inviato di un tg nazionale come è il Tg5?
«Secondo me non c'è molta differenza fra il lavorare per un tg
nazionale o uno locale. Il lavoro di base è lo stesso. L'unica vera
differenza è che per il tg nazionale spesso occorre affrontare
lunghe trasferte. Per il resto è un'esperienza molto interessante:
incontri persone, ascolti storie, esamini la società
da un punto di vista privilegiato. Ci sono lati positivi e negativi,
per me che sono timido - ad esempio - essere riconosciuto per
strada è fonte di imbarazzo».
Hai una preferenza per il giornalismo televisivo o ti piacciono anche
altri media come la carta stampata o le radio?
«Mi piacciono tutti i tipi di giornalismo: vengo dalla carta
stampata, ho collaborato con alcune radio, lavoro in tv. Sono lavori
diversi nella forma, nei tempi, nel linguaggio. Ma, sotto sotto, si
tratta sempre dello stesso lavoro: raccontare quel che succede».
Nella tua esperienza professionale hai un servizio, un personaggio o
un'intervista che più ricordi?
«Ce ne sono tanti. Ho avuto la ventura di incontrare diversi
serial killer e di raccontare le loro storie, ho trascorso venti
giorni fra
gli alluvionati del Piemonte e quasi un mese in un campo accanto
alla ferrovia, quando c'è stata la protesta dei produttori di latte.
Forse l'intervista più difficile e delicata, ma anche la meglio
riuscita, è stata quella che ho fatto al carabiniere che uccise
Carlo Giuliani durante il
G8 di Genova. Si trattava di raccontare la storia di due
ventenni le cui vite si sono incontrate, scontrate e spezzate in
meno di un minuto, mentre attorno a loro accadevano cose molto più
grandi di loro».
La tua amica e collega, Anna
Maria Chiariello, ha parlato del cronista, dell'inviato, come di
colui o colei che ama sporcarsi ancora le scarpe di fango. Ti
ritrovi in questa definizione?
«La fatica del cronista è quella di correre contro il tempo,
soprattutto in tv. E se fra te e la notizia c'è un mare di fango?
Beh, lo attraversi senza starci tanto a pensare sopra».
Chi sono stati i tuoi maestri di giornalismo?
«Giampaolo Rossetti, mio primo caporedattore della cronaca al
Tg5, purtroppo scomparso, su tutti. Ma anche Massimo Zamorani,
un tempo capo della redazione genovese del Giornale, è stato
fondamentale. Purtroppo maestri, nel senso di colleghi più esperti
disposti a condividere il proprio sapere con i giovani, nella nostra
professione ce ne sono sempre meno. Tutti hanno troppa fretta».
Tra colleghi e colleghe chi apprezzi di più?
«Qui a Genova ci sono molti ottimi cronisti, e ne ho
incontrati molti nel mio girovagare professionale. Ho trovato
giornalisti bravi e intelligenti ad Alessandria, Piacenza, Bologna,
Milano, in Veneto. E non sempre lavoravano per grandi testate. Colgo
l'occasione per ringraziare tutti coloro che mi hanno dato una mano,
ma sarebbe ingeneroso e sbagliato fare una classifica».
Quali ritieni possano essere le difficoltà, per un giornalista, nel
conciliare lavoro e famiglia?
«Un cronista deve avere una famiglia molto comprensiva. Se
mia moglie non lo fosse non sopporterebbe le telefonate nel cuore
della notte, le trasferte organizzate all'ultimo minuto e sempre di
corsa, le cene con gli amici annullate, i giorni di Natale da sola.
L'inviato è una specie di zingaro.
E se la famiglia regge, gran parte del merito è del tuo compagno o
compagna».
Molti sono i giovani che vorrebbero fare i giornalisti. Quali
consigli daresti loro?
«Il giornalismo "entra dalle scarpe" . Occorre affrontare con
umiltà il lavoro e ogni servizio come se fosse da prima pagina.
Una delle mie prime inchieste fu sulla scomparsa dei vespasiani dal
centro di Genova. E fare la cronaca della seduta di un consiglio di
quartiere o di una seduta della Camera è assolutamente la stessa
cosa. Bisogna avere molta disponibilità, molta voglia di
lavorare e soprattutto molta umiltà».
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