Telegiornaliste anno III N. 28 (106) del 16 luglio 2007
Carlo Paris, re degli inviati sportivi di
                   Giuseppe Bosso 
                   
                   Questa settimana abbiamo incontrato 
Carlo Paris, una fra le "voci dal bordocampo" più note e apprezzate dal 
pubblico televisivo italiano. Come non chiedere il suo parere sul mondo del 
calcio post Calciopoli? 
                   
  
 
 
                   
                    
                     Il 
primo campionato della "nuova era" calcistica si è concluso con una netta 
vittoria dell’Inter mentre infuria il dibattito sulla sua credibilità: è stato 
davvero un campionato minore, dove la squadra nerazzurra era favorita dalla 
mancanza di reali concorrenti?
Il 
primo campionato della "nuova era" calcistica si è concluso con una netta 
vittoria dell’Inter mentre infuria il dibattito sulla sua credibilità: è stato 
davvero un campionato minore, dove la squadra nerazzurra era favorita dalla 
mancanza di reali concorrenti? 
                   «Non condivido questa idea: questo campionato è stato vero e 
combattuto come gli altri anni. Che poi ci siano state squadre penalizzate è un 
altro discorso, ma la penalizzazione fa parte delle regole del gioco, come le 
squalifiche e le espulsioni: non per questo influisce sulla credibilità del 
torneo». 
                   
                   A distanza di un anno dello scandalo, che pare ancora non 
essere finito, ritiene che si sia davvero fatto un cambiamento importante, 
oppure la situazione è ancora la stessa? 
                   «Direi che entrambe le posizioni siano eccessive: le cose 
sono molto cambiate e, rispetto al passato, molti personaggi sono stati 
allontanati. Ma piuttosto che colpire a suon di squalifiche coloro che si 
rendono colpevoli di comportamenti irregolari, ritengo che debba cambiare il 
modo stesso con cui il calcio si propone: è la base di partenza che deve 
riguardare tutte le parti interessate, dalle società ai calciatori, fino ai 
tifosi». 
                   
                   Cosa crede che ricorderemo, a distanza di tempo, di questa 
annata: le vicende giudiziarie o il trionfo di Berlino, reso ancora più 
indimenticabile proprio perché giunto in un frangente così difficile per la 
nostra immagine? 
                   «Sono due aspetti separati e molto diversi tra loro: quello 
sportivo, iniziato con la vittoria della Coppa del Mondo e che è continuato poi 
con quella del Milan in Champions League sarà sicuramente una pagina importante 
da conservare; per l’altro verso, non si potrà nemmeno archiviare la triste 
pagina legata al momento di bassezza rappresentata da Calciopoli». 
                   
                   La mancata assegnazione all'Italia degli Europei 2012 
rappresenta una sconfitta dei nostri dirigenti o un segnale di novità in cui 
anche altri Paesi come Polonia e Ucraina si fanno avanti? 
                   «L’allargamento dell’Europa coinvolge anche il calcio, e lo 
esprime pienamente il fatto che due nazioni calcisticamente in crescita come 
Polonia e Ucraina siano riuscite, unendo le forze, ad ottenere questa 
affermazione. Per quanto riguarda l’Italia, invece, direi che da questa 
sconfitta dobbiamo trarre insegnamento: è anche conseguenza, appunto, 
dell’immagine negativa che è derivata da quella fase. È da qui che dobbiamo 
ripartire per una svolta in positivo». 
                   
                   Per Raisport l’assegnazione dei diritti sulla Champions 
League ha rappresentato un'ideale compensazione dopo la perdita della Serie A? 
                   «Indubbiamente sì. Ma la questione dei diritti televisivi sul 
campionato va rivista attentamente, anche alla luce degli ascolti piuttosto 
deludenti delle trasmissioni Mediaset in queste due stagioni; venendo a noi, la 
Champions League ha rappresentato un'importante affermazione sia in ordine di 
ascolti che di consensi, e ci auguriamo che anche l’anno prossimo sia così». 
                   
                   Il “caso Ambrosini” esprime, secondo lei, un momento di 
particolare degenerazione comportamentale che sta riguardando i protagonisti 
dello sport più amato dagli italiani? 
                   «Certamente: dirigenti, società e se vogliamo anche noi 
giornalisti, purtroppo, sono coinvolti in questo frangente; ma è un discorso che 
non riguarda solo il mondo del calcio, come testimoniano alcune sedute del 
Parlamento, dalle quali non emergono certo segnali positivi per il Paese. 
                   Dopo la tragedia di Catania abbiamo assistito ad un acceso 
dibattito in cui è prevalsa da un lato, per l’immediato, la volontà di inasprire 
duramente le misure di polizia per bloccare ulteriori episodi di violenza, e 
dall’altro, per il futuro, la necessità di dare importanti segnali alle 
generazioni future; è questo aspetto che richiederà maggiore attenzione, proprio 
per quello che i giovani rappresentano».