Telegiornaliste
anno II N. 5 (37) del 6 febbraio 2006
Telegiornalista e mamma: Adriana
Pannitteri
intervista di Stefania Trivigno
Donna e mamma: un binomio tanto abusato da aver convinto tutti, donne
comprese, che se non si è mamme non si è "complete": lo pensi anche
tu?
«Mah, non mi sentirei di dire che se non si è mamme non si è
complete. Certo, mi ha colpito molto la notizia che abbiamo dato al
telegiornale, che Valentina Vezzali a quattro mesi dalla sua
gravidanza ha vinto i Mondiali di fioretto e ha dedicato la vittoria
a suo figlio. E alla fine lei ha commentato: «Certo, un figlio ti
aiuta in qualche modo a sognare». Io un po’ ci credo.
Non dico che se non sei mamma non sei completa, perché è un qualcosa
che fino a che non hai, non riesci a sentirne la mancanza.
Sicuramente è un impegno – se posso usare il termine – devastante
per chi conduce una vita impegnativa».
Il femminismo in Italia ha emancipato le donne: ha fatto guadagnare loro
ruoli che prima erano squisitamente maschili - su tutti la "manager"
- ma, allo stesso tempo, non ha fatto loro perdere quelli
tradizionali, la "mamma baby sitter", la casalinga. Il
coinvolgimento paterno nell'educazione quotidiana dei figli resta
tuttavia secondario, e, quando è possibile, affidato di preferenza a
una baby sitter. Sei d'accordo con questa interpretazione?
«Una donna in carriera può essere mamma a tutti gli effetti, ma fa
un sacrificio personale pazzesco perché tutto quello che fa, lo fa
inevitabilmente con un grandissimo rimorso. Adesso sono quattro anni
che sto alla conduzione del
Tg1 e quindi vivo una vita molto più ordinata, tranquilla: ho fatto
questa scelta per stare un po’ di più vicino a mia figlia. Faccio
sacrifici perché mi alzo presto la mattina, alle 4.30, ma soffro
solo io perché non faccio male a nessuno. In questo modo il
pomeriggio ce l’ho libero e lo dedico a mia figlia. Credo, comunque,
che sia necessario liberarsi dai pregiudizi della società».
Come sei riuscita a conciliare la carriera e la famiglia? E' stato necessario
programmare l'una e pianificare l'altra?
«Per i primi cinque o sei anni di vita di mia figlia, mio marito si
è occupato molto di lei. Poi abbiamo anche avuto una baby sitter,
l’aiuto dei nonni. Però psicologicamente non sarai mai serena».
Capita di lavorare nei weekend o durante le festività: ti affidi all'aiuto di
un familiare, una colf o una baby sitter? E come "giustifichi" le
tue assenze con i familiari?
«Prima, in cronaca, lavoravo nei weekend. Lì sopperiva molto mio
marito, i nonni e anche una baby sitter. C’era tutta una sorta di
supporto. Invece adesso se mi capita di avere un impegno durante il
fine settimana, che comunque è raro, posso spiegarlo a mia figlia
che è abbastanza grande. Devo dire che lo accetta poco, perché i
bambini ti risucchiano molto, per cui più si hanno sensi di colpa,
più loro ti risucchiano. Sì, io mi giustifico spiegandole il motivo
della mia assenza».
La tua bambina ha una baby sitter "di fiducia"?
«Sì, c’è una signora che viene a fare le pulizie e a volte le lascio
anche mia figlia, se capita le fa anche da mangiare».
Che cosa hai provato la prima volta che hai lasciato tua figlia sola con una
baby sitter? E porteresti la badante con la famiglia anche in
villeggiatura?
«Più che quando l’ho lasciata con la baby sitter, la cosa che mi ha
devastato è stata quando l’ho portata al nido. Quando aveva undici
mesi ho fatto questa scelta: i nonni erano ancora giovani e potevano
andare a prenderla, se io non avessi potuto. E ricordo ancora quella
sensazione devastante di quando l’ho lasciata lì perché l’ho
avvertito come uno sradicamento, come un allontanamento forzato da
mia figlia. No, non porterei la baby sitter con me in vacanza».
La maggior parte delle donne in carriera sostiene di sentirsi in colpa nei
confronti della famiglia; è così anche per te?
«Prima di iniziare a condurre il Tg1, ero inviata di cronaca.
Mia figlia adesso ha 12 anni e ha vissuto tutte le mie varie
stagioni professionali, da quelle in cui ero una precaria Rai a
quando ho avuto i primi contratti. Quindi puoi immaginare che tipo
di impegno: dovevo partire sempre…
E che tipo di stress su due livelli: da un lato dovevo impegnarmi
tantissimo perché mi assumessero, dall’altro il forte senso di colpa
che ti porti inevitabilmente dietro. Credo che sia una specie di
retaggio interiore per cui ti senti sempre e comunque in colpa:
quando era piccolina e io partivo sempre; paradossalmente mi sento
in colpa anche adesso che con lei passo più tempo».
Ti è mai capitato di dovere, o volere, rinunciare a un incarico di lavoro per
la tua famiglia? E di rinunciare a passare qualche ora in più con i
tuoi familiari per motivi di lavoro o carriera?
«Quando ero in cronaca e si andava fuori Roma per seguire un evento,
spesso i miei colleghi si fermavano lì la sera per ripartire con
calma l’indomani mattina. Anche perché in cronaca si hanno dei ritmi
pazzeschi: non è come andare a un convegno. Lì bisogna arrivare
prima che arrivino gli altri, prendere più materiale degli altri:
nasce spesso una competizione mostruosa. Quindi, finita la giornata,
si ha bisogno di fermarsi e rilassarsi un attimo. Invece io
disperatamente cercavo il primo treno, il primo aereo per tornare a
casa da mia figlia, perché speravo almeno di riuscire a fare, la
mattina dopo, colazione con lei. Quindi ho rinunciato alla cronaca,
che mi piaceva moltissimo, ma a un certo punto mi sono resa conto
che dovevo fermarmi un attimo, che avevo bisogno di serenità».
Dunque, una donna che vuol fare carriera non deve necessariamente rinunciare
alla famiglia, ma accettare dei compromessi? E quando questi ultimi
diventano non più sostenibili?
«Sì, se una donna vuol far carriera deve scendere a compromessi,
sicuramente tutto è complicato e faticoso. Se io fossi stata sola,
probabilmente sarei andata in Iraq.
Ma siccome non sono sola, non posso permettermi di andarci perché ho
degli obblighi nei confronti della mia famiglia. Con una bambina,
non posso andare in un posto dove al 90% rischi la vita. Solo questo
è lo spartiacque, questo è il punto in cui ti devi fermare e questa
è la grande differenza fra l’uomo e la donna. Sono sincera, a volte
mi pesa dover fare queste rinunce, ma quando poi penso a quello che
ho, il sacrificio si annulla».
E' possibile far convivere famiglia e carriera senza eccessivo stress, sensi
di colpa, rinunce? E come, secondo te?
«Forse bisognerebbe essere cinici, bisognerebbe pensare che la
società è cambiata, che in ogni caso è difficile tornare all’idea
della donna che rinuncia al proprio lavoro per la casa. Devi
equilibrare i compromessi senza rinunciare troppo a te stessa e a
volte farebbe anche bene pensare Ma io lavoro tanto, perché mi
devono venire ‘sti sensi di colpa?».
La redazione di Telegiornaliste approfitta per augurare ad
Adriana, che proprio oggi, 6 febbraio, compie gli anni, un
felicissimo compleanno.