Telegiornaliste
anno IV N. 14 (139) del 14 aprile 2008
Michelle Nouri, giornalista giramondo di
Giuseppe Bosso
Giornalista e scrittrice, Michelle Nouri
nasce a Praga da padre iracheno musulmano e da madre cattolica. Dopo l'infanzia
trascorsa nella capitale irachena, si trasferisce nella Repubblica Ceca, Paese
d'origine della madre, poi arriva in Italia. Qui si dedica alla diffusione del
dialogo interculturale fra le due religioni oltre ad occuparsi di costumi,
società e culture dei vari Paesi del mondo. Conduttrice di alcune rubriche sulla
Rai, ha pubblicato l'autobiografia La ragazza di Baghdad.
Padre iracheno, madre ceca: due culture, due mentalità, due storie diverse. A
quale si sente più vicina?
«Decisamente a quella irachena, avendo vissuto gran parte della mia vita a
Baghdad. Poi, però, mi sono anche avvicinata alla cultura occidentale da quando
mi sono trasferita a Praga con mia madre e le mie sorelle. Ora, invece, mi sento
molto italiana».
La ragazza di Baghdad è la sua storia di ragazza cresciuta tra i
“salotti buoni” della capitale irachena al tempo di Saddam - parlando anche
delle attenzioni a lei riservate dal figlio Uday - e improvvisamente catapultata
in un incubo chiamato guerra. Cosa l’ha spinta a raccontare la sua esperienza?
«Non è stato facile decidere di raccontare la mia storia. Ci ho pensato davvero
tanto, ma i miei amici mi hanno molto incoraggiata. Alla fine ho capito che era
giusto raccontare quegli aspetti e quegli spaccati dell’Iraq che l’Occidente non
conosce. Certo, ho dovuto anche aprirmi, raccontare e mettere a nudo esperienze
personali, ma era inevitabile se si voleva fare un lavoro completo. Riguardo al
figlio di Saddam, è una piccola parentesi che comunque non riveste molta
importanza nel resto del libro. Quello che contava per me era dare una
rappresentazione di quella Baghdad e di quell’Iraq sconosciuti al resto del
mondo».
Qual
è la sua opinione riguardo lo stato attuale della donna nel mondo islamico?
«Certamente non positiva. Ritengo che la mentalità sia la stessa di
cinquant'anni fa, in Iraq come in Iran e in Afghanistan. Credo che siano
comunque le donne per prime a capire cosa fare, quali sono le battaglie da
combattere per contrastare una società ancora fortemente maschilista. Impegnarsi
in politica attivamente, secondo me, sarebbe un passo importante».
Dopo l’11 settembre è cresciuta nel mondo occidentale una sorta di "paura
dell’islamico" e una continua intolleranza. Ma chi, secondo lei, dovrebbe fare
gli sforzi maggiori per la promozione di una vera e propria cultura del dialogo
tra Europa, America e Medio Oriente?
«Dopo l’11 settembre si è sviluppata questa paura, e Bin Laden, i Talebani in
Afghanistan e altri aspetti del mondo islamico che l’Europa e l’America
ignoravano sono venuti a galla proprio in quel momento. Con gli attentati, il
terrorismo è balzato prepotentemente alla ribalta e al centro dell’attenzione,
raggiungendo quello scopo che si era prefisso. Per il resto, tante cose erano
sotto gli occhi di tutti, come la questione delle moschee in Italia, della quale
si è iniziato a parlare solo da qualche anno. La verità è che non c’è questa
volontà di venirsi incontro, ma ognuno cerca di sopraffare l’altro. Anche per la
questione israelo-palestinese è così: nessuno vuole la pace, ma soltanto
distruggere l’altro. La cosa più assurda è che sono profondamente convinti di
avere ragione».
La forte immigrazione straniera in Italia non sembra ancora essere riuscita a
creare una vera e propria società multirazziale come in Francia e in America.
Crede che queste resistenze potranno essere superate?
«E' molto difficile. A dispetto dell’immagine e dell’apertura internazionale che
il nostro Paese dice di avere, c’è ancora tanto da fare, sia da parte delle
istituzioni che dai cittadini. Avverto ancora molto razzismo - sia chiaro, sono
la prima a condannare atti criminali compiuti da extracomunitari - e poca
volontà di apertura verso gli stranieri di tutto il mondo che tendono ad essere
guardati sempre più con sospetto e diffidenza. Si identifica l’extracomunitario
con il delinquente e non si guardano gli aspetti positivi che invece ci sono.
Questa forte ostilità non favorisce certo la creazione di una società
multicolore, cosa che gli italiani non credo accetteranno tanto facilmente. Più
che altro, non sanno come si fa. Vogliono apparire internazionali e open mind,
ma in realtà esiste ancora tanto provincialismo rispetto le altre capitali
europee come Parigi, Barcellona o Londra. E questo tipo di conflitto generato
dalla perenne divisione tra il buono e il cattivo esiste persino fra gli stessi
italiani. Basta guardare il Sud e il Nord».
Non si è pentita di aver scelto di vivere nell’Italia del ministro che chiama
“gnocca senza testa”
Rula Jebreal?
«Assolutamente no. Ho l'impressione che quell’episodio, che comunque non ho
seguito, sia stato alquanto enfatizzato dai media. Io mi sarei fatta due risate.
Del resto si sa come ragionano gli uomini...».