
Telegiornaliste 
	anno II N. 16 (48) del 24 aprile 2006
 
Nosotti, giornalista "per caso"
                    di Filippo Bisleri
                    
                    Abbiamo raggiunto 
	Marco Nosotti, uno dei volti più noti della redazione sportiva di 
	Sky, all’indomani di una delle sue numerose e qualificate presenze a 
	bordocampo, e tra un aereo e un treno che lo portano in giro per l’Italia a 
	raccontare il calcio o il volley dei big.
                    
                    Marco Nosotti come ha deciso di fare il giornalista? Una 
	vocazione?
                    «Sincerità per sincerità? Bene, eccola: il fuoco sacro
                    del giornalismo non mi ha mai travolto e incendiato più 
	di tanto, almeno non ricordo. Una cosa è certa però: questo mestiere, 
	vocabolo che preferisco a lavoro, è un mestiere che ti “punta”, ti 
	individua tra molti e ti sceglie. Questo è capitato a me quando poco più che 
	ventenne, indeciso tra laurea in Giurisprudenza, attore dal futuro molto 
	incerto e carriera di scarso, molto scarso, portiere di quarta serie, 
	accettai di dare una mano nella piccola redazione di una televisione privata 
	del sassolese (Modena). Colpa di un compagno di liceo, lui sì un vero 
	genio ed una penna stupenda: Leo Turrini, editorialista de Il 
	Resto del Carlino e La Nazione. Sono passati 25 anni e non mi 
	sono mai pentito di avergli dato ascolto».
                    
                    Cosa pensi del luogo comune che vuole i giornalisti 
	sportivi meno preparati dei colleghi?
                    «Per molti anni mi sono occupato di cronaca, nera e 
	giudiziaria, di politica ed economia nelle tv locali dove ho lavorato. 
	Non credo esista un giornalismo di serie A o di serie B, credo invece 
	che esistano giornalisti bravi e meno bravi, preparati e no, credo anche che 
	ci siano molti furbi come nella vita di ogni giorno. Non mi sento sminuito 
	perché mi occupo di sport, anzi sono un privilegiato perché faccio un 
	mestiere che mi appassiona e mi stimola ogni giorno, un mestiere che 
	rispetto e cerco di onorare con onestà».
                    
                    Hai un tipo di giornalismo che preferisci?
                    «Non ce ne è uno in particolare, mi piacciono le storie di 
	sport, storie di uomini di sport, anche quelle minori, quelle degli ultimi 
	della classe, e provo a raccontarle utilizzando il mezzo che mi è più 
	congeniale: il microfono, la tv».
                    
                    C'è qualche personaggio che ti ha colpito di più?
                    «È innegabile che sia stato particolarmente colpito 
	dall’incontro con alcuni veri campioni come 
	Ayrton Senna o 
	Alex Zanardi conosciuti quando mi sono occupato, malamente, di motori. 
	Nel calcio alcuni allenatori e giocatori mi sono rimasti “addosso” per come 
	vivono e hanno saputo vivere la propria storia personale e professionale, 
	gente come Ancelotti, Prandelli, Baldini, Malesani, Capello, Novellino, 
	Sacchi e Cosmi. Ma debbo fermarmi perché l’elenco sarebbe molto lungo. Nella 
	pallavolo poi ho avuto la fortuna di vivere gli anni d’oro dal ‘90 ad oggi, 
	ma anche quelli pionieristici precedenti e lì si mi sono divertito ed 
	arricchito: da Anderlini a Prandi, da Velasco a Montali, Anastasi, 
	Bebeto, per citare gli ultimi grandi ct azzurri. Ma dove li mettiamo i 
	tanti giocatori conosciuti sui campi e nei palazzetti, durante trasferte 
	interminabili, oppure dirigenti e uomini da oscar come Peppino Panini e 
	Giuseppe Brusi. Preziose, poi, le lunghe chiacchierate con Zorzi, Vullo 
	e Bertoli, Lucchetta e Cantagalli, ed il condividere con tutti passioni e 
	lavoro, successi e sconfitte?
                    Ecco, in questo mi sono trovato bene: nel restare a "bordocampo" 
	nelle imprese come nelle disfatte, e mai mi sono sentito fuori posto».
                    
                    Hai avuto dei maestri di giornalismo? E chi?
                    «Ho cercato di rubare un po’ da tutti cercando di non 
	smettere mai di chiedermi il perché delle cose. A volte funziona! Poi 
	qualche disgraziato che mi ha dato fiducia l’ho trovato, nelle tv locali 
	come a Tele+ e a Sky. Da Lorenzo Dallari, amico e 
	professionista esemplare, ad altri come Massimo Perrone, primo 
	caporedattore di quella Tele+ che oggi sembra così lontana ma da cui 
	è nata l’attuale pay tv, passando da direttori come Tommasi
                    e Arrigoni, fino ad arrivare agli attuali Bruno
                    e Corcione che, qui a Sky, sono alla guida di 
	una redazione sportiva e sono molto, molto in gamba».
                    
                    Cosa ti piace di più della professione giornalistica? Hai 
	qualche episodio curioso?
                    «L’essere sopportato o accettato a bordo campo, dove la vita 
	non sarà sempre facile ma comunque divertente. Lavorare è un’altra cosa! 
	Quanti vaffa! E quante chiacchiere con giocatori, allenatori e arbitri. 
	Con un pizzico di buon senso puoi essere d’aiuto nel raccontare l’evento 
	senza mancare di rispetto alle persone che sono in campo ed a quelle che 
	stanno davanti al teleschermo. Ne ho passate parecchie, ma ricordo sempre 
	con piacere le feste promozione o quelle scudetto, le secchiate d’acqua, le 
	interviste sotto la doccia o nella piscina degli spogliatoi, come nel caso 
	del ritorno in A della Fiorentina: mi buttai in acqua per 
	intervistare Della Valle a mollo con il sindaco Dominici ed altri giocatori, 
	ma non avevo calcolato la profondità. Aprii la bocca troppo presto e 
	rischiai di annegare. In 120 centimetri!
                    A proposito di pioggia ed acqua mai ne avevo vista tanta a 
	Perugia nell’anno dello scudetto della Lazio. Ricordate come piovve su quel 
	Perugia-Juventus? Ancora oggi, quando incrocio 
	Pierluigi Collina, arbitro di quella gara, sento brontolare in 
	lontananza un tuono».
                    
                    Molti giovani vogliono intraprendere la carriera 
	giornalistica. Quali consigli di Marco Nosotti per loro?
                    «Credo nella gavetta e nel provare a cimentarsi con 
	tutto (carta stampata, tv e radio), ma non tralascerei le possibilità che le 
	scuole di giornalismo possono dare anche in vista di possibili sviluppi 
	occupazionali. Curate un archivio personale, segnatevi numeri telefonici, 
	indirizzi e idee, e non dimenticate mai da dove venite. È un piccolo 
	consiglio avuto da vecchio inviato. È servito. Almeno credo».