Telegiornaliste
anno III N. 46 (124) del 17 dicembre 2007
Dody Nicolussi, la montagna nel cuore
di Mario Basile
Porre i riflettori sulle donne dello
sport. Quelle che lo praticano e, perché no, anche quelle che lo raccontano. Si
riassume così, in poche righe, l’obiettivo principale di Sportiva. Se poi
incontri chi, come
Dody
Nicolussi, fa e sa fare entrambe le cose, vuol dire che sei davanti a
qualcosa di speciale. Speciale come l’amore che Dody nutre per lo sport,
ma innanzitutto per la montagna. Del resto, se nasci a
1700 metri dove «la neve ce l’hai
fuori di casa e quasi impari prima a sciare che a camminare», diventa logico che
l’atmosfera magica della montagna finisca per far parte di te.
All’attività sportiva, vissuta anche nella
nazionale di sci alpino, dal 1985 si è
aggiunta quella di giornalista.
Dody, hai praticato per lungo tempo sci
alpino, anche a livello agonistico, prima di diventare giornalista sportiva.
Quanto ti ha aiutato nella tua professione l’aver fatto parte di quel mondo?
«Sono stata tanti anni in nazionale di sci
alpino e devo dire che quella è stata la mia formazione. Il passaggio da ex
azzurra a giornalista è stato fondamentale, perché un conto è raccontare lo
sport e un conto è averlo vissuto da atleta conoscendone tutti gli aspetti. Ti
ritrovi a sapere esattamente come si vive la vittoria, la sconfitta e in
generale come funziona la vita di un atleta. Io, poi, vengo da una famiglia di
sciatori. Sono tutti maestri di sci: mio padre è un ex atleta, oggi allenatore
insieme a mia sorella. E’ una famiglia che vive lo sport.
Avendolo vissuto in prima persona, lo sport
lo racconti in maniera diversa, con l’anima. Inoltre, sai interpretare meglio
ciò che viene detto. Sotto l’aspetto formativo è un’esperienza unica. Anche se,
ovviamente, non tutti hanno questo privilegio».
Anche tu sei allenatore e istruttore
nazionale, oltre che maestro di sci. Come mai hai deciso di occuparti di sport
da giornalista e non di rimanervi ricoprendo questi ruoli?
«Sì,
nel tempo libero continuo a fare l’istruttore nazionale, l’allenatore e il
maestro di sci. Sono arrivata al giornalismo perché ho iniziato a scrivere per
delle testate specializzate come tecnico. In seguito ho fatto il commentatore
tecnico in radio e in tv, viste le conoscenze che avevo dell’ambiente sportivo
da cui provenivo. Poi da lì sono passata a condurre dei programmi sempre in
radio e in tv a livello regionale. Le opportunità, come spesso accade, sono
arrivate tutte insieme: è questione di cavalcarle. Fare la giornalista, per me,
ha rappresentato un modo diverso per continuare a raccontare ciò che amo. E lo
sport io lo amo a 360 gradi, anche se il mio cuore appartiene allo sci e a tutto
il mondo della montagna».
Quindi hai lavorato sia in televisione e
che in radio. Dove credi si faccia meglio informazione sportiva?
«Sono mezzi diversi. La radio è straordinaria
perché, attraverso la voce, non solo devi dire con precisione tutto ciò che
avviene, ma soprattutto saper comunicare le emozioni a chi ti ascolta. E’ molto
affascinante come mezzo d’informazione. La televisione, invece, è magica e ti dà
molte opportunità. Riuscire a trasmettere e a raccontare le emozioni attraverso
le immagini e le parole è qualcosa di speciale. I servizi stessi non sono un
qualcosa a sé stante, ma finiscono per avere un cuore e un’anima. Saper tirare
fuori dalle interviste, dai profili e dagli speciali quello che desideri
raccontare: quello è il bello. Sotto questo aspetto, l’esperienza aiuta molto.
Il giornalista può essere amato e non, ma il suo mestiere diventa un’arte perché
ci mette sempre un po’ di se stesso in tutto quello che fa».
Tornando allo sci, sembra che l’Italia,
dopo gli anni d’oro firmati da Tomba, dalla Kostner e dalla Compagnoni, non
abbia più grandi talenti…
«La verità è che la storia dello sci su tutto
l’arco alpino, ma non solo, vive di cicli. Adesso è un momento in cui coincidono
difficoltà economiche ed anche a livello di vivai. Lo sci sta pagando un prezzo
abbastanza alto. Io ho tanta fiducia in tutti gli atleti perché ognuno di loro
dà il massimo. Vivere lo sport da agonista significa dare tanto e non sapere se
si raggiungeranno gli obiettivi. Ci sono tanti ragazzi che si impegnano, ma non
è facile vincere perché gli altri sono molto forti. Ci vogliono capacità e
bravura.
Lo sci italiano deve ricostruirsi, rimettere
in piedi la macchina dal punto di vista tecnico, organizzativo e manageriale.
Anche altre federazioni hanno vissuto periodi difficili come questo e ne sono
venute fuori. Con l’aiuto di tutti - atleti, ex atleti e dirigenti - possiamo
farlo anche noi. Lo stesso sostegno dei tifosi può dare una grossa mano.
Una cosa molto importante, inoltre, non va
dimenticata: attorno allo sci agonistico c’è tutto il mondo della montagna che,
come sappiamo, vive di turismo e ha bisogno dei risultati per tirarsi su. Lo
merita perché è splendida».
Il pubblico ti ricorda soprattutto come
conduttrice di trasmissioni come
SportHandicap e Vincenti, i
magazine di Sky dedicati allo sport dei diversamente abili…
«Sì, il fatto di aver messo in piedi un
programma che era praticamente il solo ad essere così articolato e tutto
dedicato ai diversamente abili, mi fa molto piacere. Inizialmente ho trovato
delle difficoltà, soprattutto nell’adottare il linguaggio giusto. Siamo riusciti
poi a eliminare tutta la retorica e a dimostrare che una vittoria è sempre una
vittoria al di là degli handicap. Il mio obiettivo, con SportHandicap e
Vincenti, era spingere questi ragazzi
a tirare fuori la grinta e la voglia di dire “Anche noi facciamo sport ad alto
livello. Anche noi siamo atleti”. Ecco, quella è stata la sfida più grande che
porto ancora nel cuore.
Inoltre, ho incontrato delle persone
meravigliose. E’ stato stupendo avere accanto un amico come Alex Zanardi che è
tuttora un grande esempio di vita, di uomo, di atleta e di padre. Insieme, nella
trasmissione
Vincenti, abbiamo dimostrato che non
esistono barriere se non nella mente delle persone».
Un'altra tua trasmissione di successo è
stata Le signore dello sport, che conducevi su Radio24…
«Ti ringrazio di cuore per averla ricordata
perché è un tema a cui tengo molto. Quando scrissi questo programma, il mio
desiderio più grande era quello di portarlo in televisione, dove poi ho fatto
Le signore del Calcio, ma lì si trattava di raccontare la vita delle mogli
dei calciatori e non propriamente di atlete. Le signore dello sport,
invece, poneva l’accento su queste donne atlete: forti, deboli, decise, a
momenti fragilissime che raggiungono grandi risultati non senza fatica. Quindi,
dentro le storie di grandi sportive può essere tutto bello, ma al tempo stesso
esserci un qualcosa che ha bloccato la loro carriera, un momento difficile o la
voglia di costruirsi una famiglia. Con la trasmissione si raccontavano non solo
le vittorie e i successi, ma la storia unica e originale di ognuna di loro.
Infatti, tutte le ragazze intervenute a Le signore dello sport mi
dicevano “Grazie, perché hai fatto uscire ciò che sono davvero”. E’ una
trasmissione a cui sono molto affezionata e di cui vado molto fiera. Mi
piacerebbe riprenderla in futuro».