Telegiornaliste
anno IV N. 36 (161) del 13 ottobre 2008
Mobrici e le nuove forme di
giornalismo
di Giuseppe Bosso
Bruno
Mobrici è giornalista professionista dal
1977. Entra in Rai nel 1975, a Torino. Nel 1976
viene chiamato a Roma da Sergio Zavoli (che
considera suo maestro) per il giornale di Radio
1. Approda in seguito al Tg1 dove è prima
inviato di Tv7 e poi, con Bruno Vespa
direttore, capo della redazione cronaca durante
il periodo di Mani pulite.
Nominato responsabile dei servizi speciali
(direttore Carlo Rossella), Mobrici crea un
nuovo format di approfondimento, che verrà
largamente copiato (inchiesta più dibattito).
Negli ultimi anni è stato inviato di guerra e poi
a lungo a Mosca, prima di ricevere quest'anno
l'invito a condurre, insieme a Veronica Maya,
Uno Mattina Estate. Anche in questa occasione
Mobrici sperimenta modelli di comunicazione
televisiva (Live, la prima pagina di
Uno Mattina), che ottengono risultati di
ascolto importanti. L'esperienza continua anche
nell'edizione invernale condotta da Michele
Cucuzza ed Eleonora Daniele.
Che bilancio può trarre della sua esperienza a
Uno Mattina Estate?
«Assolutamente positivo, nonostante qualche
diffidenza iniziale. Noi entriamo senza bussare
nelle case della gente, che ci guarda con
simpatia ed attenzione, ma anche con una certa
fretta rivolta verso l'intera giornata. Per
questo è importante molto garbo e altrettanta
credibilità. Riuscirci significa talvolta anche
adattarsi».
Quali sono gli aspetti positivi e quelli un
po' meno che ha riscontrato?
«Di positivo certamente il fatto che si riesce a
conciliare informazione, intrattenimento e
divulgazione. Ciascuno per la parte propria -
ricordo il significativo lavoro della
Fiorato,
di Cucuzza e della Daniele.
Gli ascolti sono ottimi. Se fossi il responsabile
dell'intero programma, non nascondo che
cambierei qualcosa».
Molto spazio ha riservato alle imminenti
elezioni americane: quali potranno essere,
secondo lei, gli scenari che da queste si
andranno a delineare non solo per gli Stati
Uniti, ma anche per il resto del mondo?
«Gli Stati Uniti ora - ma non solo in questi
giorni- sono sotto la lente d'ingrandimento: per
la politica, la finanza, l'economia. Lì è nata
un'epoca e lì si sta esaurendo un modello che
non può più escludere l'altra metà del mondo che
sopravanza. Un Obama alla Casa Bianca ci
spiegherebbe meglio che non c'è solo bisogno di
novità, ma anche di sogni che si realizzano. Vi
immaginate un Obama a Palazzo Chigi, o sul
Colle? Occorrono "più Stati Uniti" nel mondo, ma
certamente meno dipendenza del mondo dagli Stati
Uniti».
E' stato inviato di guerra, un sogno per molti
giovani giornalisti. Cosa consiglierebbe a chi
volesse seguire questa strada?
«Mi sento di suggerire ai direttori una regola:
non mandare giovanissimi giornalisti nelle zone
di guerra. E' fatto naturale tentare in quelle
zone lo scoop. Senza esperienza, c'è il rischio
di creare gravi pericoli per la propria vita e
problemi enormi a livello internazionale: quanti
giornalisti morti, quanti sequestri...
Vedo bene invece l'affiancamento iniziale in zone
di pericolo o molto particolari di un giovane
collega a una firma collaudata, così da...
rubare subito il mestiere. Ma temo che pochi
editori vorranno investire nelle risorse umane».
Negli ultimi mesi Grillo, tra gli altri, ha
puntato l'indice anche contro l'Ordine dei
giornalisti, chiedendone la soppressione: cosa
ne pensa lei?
«Diciamo che sono d'accordo in larga parte.
L'Ordine non ha più significato né efficacia.
Ma una categoria come la nostra senza regole
sarebbe una sciagura. Servirebbe invece un
"codice etico - professionale" di forte impronta
anglosassone, perché fare il giornalista oggi in
Italia significa navigare a vista fra sirene,
scogli e pirati».