Telegiornaliste
anno II N. 11 (43) del 20 marzo 2006
Maria Concetta Mattei, parla la campionessa di
Silvia Grassetti
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Sabato 11 marzo, nella prestigiosa cornice di Saxa Rubra, ha
avuto luogo la premiazione del campionato di Telegiornaliste:
l'editore Rocco Ventre e i redattori Antonella Lombardi, Mario Basile, con
il direttore editoriale, hanno consegnato la targa alla campionessa
Maria Concetta Mattei negli studi del Tg2. Maria Concetta ci ha
rilasciato, nell'occasione, un'intervista franca e schietta.
Vorrei farti una domanda sessista: secondo te sono più brave le donne o gli
uomini a fare le giornaliste e i giornalisti, anche televisivi?
«Io dico sempre che sono le persone, non si possono fare delle categorie
così, di genere. Però in linea di massima apprezzo molto la sensibilità
che le donne sanno esternare. Io penso che, senza essere troppo
coinvolgenti, perché non è giusto nemmeno mettere le proprie sensibilità e
le proprie emozioni come filtro regolarmente, ma credo che sia anche giusto
che le donne possano esprimere quella emotività che accompagna tutte
noi quando leggiamo e scriviamo di notizie soprattutto che riguardano il
sociale, il mondo dell’infanzia...
E penso che gli uomini siano molto più frenati: non che non provino le
stesse emozioni, ma per abitudine e per cultura vengono abituati a non
esternare. Io la trovo una cosa naturale, e forse gli uomini sono più
rigorosi e sono anche più severi con se stessi. Io invece apprezzo quella
umanità che le donne riescono spesso a dimostrare. Ma non tutte, e anche non
tutti gli uomini sono così severi e così rigidi, così seri».
In
effetti, tu sei una telegiornalista che lascia trasparire le sue emozioni,
si vede dallo sguardo: parlando del terremoto di San Giuliano, ad esempio,
non ci sono sfuggiti i tuoi occhi lucidi. Ma anche dal tono di voce, che
delle volte si incrina...
«Io non riesco a mettere un filtro ulteriore: penso che la professionalità è
indispensabile, ma credo che sia anche disumano impedirci di coinvolgerci,
perché siamo persone, appunto, non siamo macchine. Sennò basta Televideo...
questa è la differenza».
L’ultima domanda che ti vorrei fare è relativa al rapporto tra colleghi e
colleghe in Rai, o per la tua esperienza: gira su due piani differenti, cioè
gli uomini hanno più potere decisionale rispetto alle donne? O non è più
così, lo era prima? E c’è collaborazione?
«È una domanda molto attuale perché c’è un movimento, dopo che sono state
approvate le quote rosa per quanto riguarda la politica: un
movimento anche all’interno della Rai; le giornaliste si stanno
aggregando, perché i numeri parlano molto chiaro: le donne giornaliste
sono tante, lavorano molto, però purtroppo, se guardiamo i numeri, i
posti di comando e di potere sono quasi esclusivamente di competenza
maschile. Quindi pensiamo che sia giusto che più donne partecipino ai
processi decisionali. Un po' perché io personalmente sono convinta che le
donne abbiano un’alta capacità di problem solving, perché lo fanno
quotidianamente (ride, ndr) nella loro giornata. Secondo me sono
molto efficienti. Anche in una redazione, in un luogo di lavoro, sono
molto abili nel dirimere questioni pratiche, non soltanto questioni
professionali, strettamente attinenti alla scrittura di un pezzo. Quindi
penso che abbiano tutte le capacità per farlo, è soltanto che le donne
forse sono più lontane dai luoghi decisionali dove si fanno le scelte e
gli incarichi».
Ma sono lontane perché non riescono ad avvicinarsi in quanto tra di loro non
riescono a creare solidarietà?
«Un po' forse questo: non c’è una grandissima solidarietà tra le donne, e forse
questo è un momento storico in cui si potrebbe creare la solidarietà e
sarebbe giusto che le donne trovassero più forza e più coesione tra di loro.
E un po' perché siamo meno competitive: io credo che siamo più severe con
noi stesse, quindi tendiamo a migliorarci sempre, però poi alla fine non
abbiamo questa voglia di prevaricare sugli altri. Spesso il potere è inteso
in questo senso. Invece io credo che le donne potrebbero portare a un potere
molto più di collaborazione e meno di sopraffazione. Sarebbe bello».