Telegiornaliste
anno IV N. 23 (148) del 16 giugno 2008
Il giornalismo itinerante di Domenico Marocchi
di Valeria Scotti
Giornalista praticante, Domenico
Marocchi è redattore e conduttore del tg TVP Notizie di
Nuova TVP, emittente delle Marche, Abruzzo ed Emilia Romagna. Voce di alcune
radio locali, è stato anche tirocinante presso la redazione del Tg1 (cultura e
spettacoli) e presso la redazione giornalistica di Uno Mattina.
Quali sono stati i tuoi esordi?
«Ho iniziato con la radio, un po’ per la musica e per gli incontri che puoi
fare in quel campo. Però poi ti accorgi che c’è sempre un pubblico che ti
ascolta e che vuole essere informato, indipendentemente dalla notizia relativa
al cantante o al gossip. Da quell’esperienza sono arrivati i radiogiornali e poi
la laurea. I primi impegni come ufficio stampa sono stati per dei progetti
musicali e teatrali a livello nazionale. Con alcuni cantanti è successo che da
semplici interviste siano nati dei veri e propri rapporti di lavoro e di
amicizia. Insomma, mi piace mescolare un po’ tutte le carte e vedere i
risultati».
La tua vita professionale, comunque, non è incentrata solo sulla musica…
«Assolutamente no. Da quando sono in tv mi occupo principalmente di cronaca.
Anche se il mio sogno restano gli esteri perché sono laureato in Scienze
Internazionali e Diplomatiche. Quando sono arrivato al Tg1, ho avuto la fortuna
di lavorare la prima settimana proprio nella redazione esteri; certo è che in
questo settore uno stagista alle prime armi non ha l’opportunità di fare molto.
Poi però ho avuto la possibilità di continuare lo stage alla cultura con Maria
Rosaria Gianni, una professionista che sa farti apprezzare questo lavoro. In
quell’ambiente impari come si deve scrivere un pezzo o un intro che possa essere
convincente, come ad esempio i lanci che i telegiornalisti dovranno leggere in
onda, come farina del loro sacco…».
Come hai vissuto l’opportunità della Rai?
«Ricordo che ho iniziato lo stesso giorno in cui era arrivato il nuovo
direttore, Gianni Riotta. Quest'ultimo decise di far partecipare anche gli
stagisti alle riunioni di redazione. Paradossalmente, più che in noi giovani,
vedevo preoccupazione nei redattori e nei capo redattori che, per la prima
volta, conoscevano il nuovo direttore. Una cosa che mi ha impressionato in Rai è
che ci sono davvero tanti precari, giovani giornalisti che ogni anno lavorano
alcuni mesi in una redazione e poi – quando va bene - vengono trasferiti in
un’altra».
Non è certo un segnale positivo...
«Sì, soprattutto se si considera che per “giovani giornalisti” spesso si
intendono i professionisti di circa 35 anni. In una situazione come questa non
c’è possibilità di nuove assunzioni, ed in più aleggia anche lo spettro della
cosiddetta raccomandazione. Purtroppo ho visto anche giornalisti anziani
prodigarsi poco per i giovani: in genere io dico che “non è che ti sbattano la
porta in faccia, si mettono davanti e non ti permettono nemmeno di citofonare!”.
Forse hanno questo atteggiamento perché sono rimasti ancora alla concezione del
posto fisso statale e non capiscono che esiste anche il ricambio generazionale».
Si può parlare di giornalismo giovane?
«In questo periodo sto studiando la deontologia e le varie regole per l’esame
da giornalista professionista. L’approccio teorico al giornalismo è sempre lo
stesso: occorre conoscere i fatti, accertarsi sempre di tutto, non prendere le
cose alla leggera e lavorare con la massima professionalità. Certo è che il
giornalismo televisivo si può svecchiare con delle accortezze, per lo più
tecniche, per dare una facciata più giovane al prodotto. Un esempio sono i tg di
Sky dove lavorano molto sui contenuti e sanno come catturare l’attenzione. Penso
al tg interattivo dove, con un tasto, selezioni la notizia che vuoi sentire.
Anche la conduzione può essere moderna, ma la notizia no, altrimenti cominciamo
tutti a prenderci alla leggera».
A chi aspira a una carriera giornalistica, conviene sfruttare le
potenzialità delle nuove tecnologie?
«Oggi quelli della mia generazione si stanno facendo le ossa nei portali, nei
quotidiani online e questo è importante per avere un primo approccio con la
scrittura. E’ anche vero, però, che se hai scritto solo sul web, il tuo
curriculum viene guardato con diffidenza. Credo comunque che sia solo questione
di tempo: tra 5, 10 anni sarà tutto diverso. Anche io ho sempre scritto sul web
e continuo a farlo perché offre una libertà non indifferente».
Ti senti più a tuo agio in uno studio, in una redazione o sei un
giornalista più “in movimento”?
«Mi sento abbastanza itinerante: stranamente ti senti più coperto mentre sei
in giro rispetto a quando la sera sei in studio a condurre e rappresenti le
numerose persone che hanno lavorato con te. Una cosa che mi ha colpito proprio
della mia esperienza in Rai è che di giorno lavorano centinaia di persone e, la
sera, sono rappresentate dall’unica persona che conduce e che ha una grande
responsabilità. L’ideale per me è un conduttore che sia anche un ottimo
reporter: penso a
Monica Maggioni. E’ una donna
molto attiva, sempre in viaggio tra America, Iraq, e nei momenti in cui conduce
mostra le sue capacità e le sue conoscenze. Insomma, credo in un giornalismo
itinerante e dinamico, che possa darti un valore aggiunto nel momento in cui
ritorni in studio».