Telegiornaliste
anno IV N. 25 (150) del 30 giugno 2008
Gabriele Marconi: sono un "malincomico" di
Valeria Scotti
Figlio di quella scuola per imitatori in tv degli
anni Novanta – Stasera mi butto –
Gabriele Marconi ha lavorato, nel corso di
questi anni, in numerosi programmi – l’ultimo,
Guida al Campionato su Italia Uno -
impersonando figure del panorama politico, sportivo, culturale e dando voce
anche a personaggi nuovi. Definirlo, però, solo un imitatore è certamente
riduttivo.
La tua prima grande occasione televisiva è
stata nel 1990 con Stasera mi butto, il campionato nazionale per
imitatori su Rai Due. Per chi come te si avvicinava al mondo dell’imitazione,
cosa rappresentava quel programma?
«Quello che oggi difficilmente rappresentano i
programmi per gli specialisti. Ormai i programmi sono quasi una vetrina, e non
certo varietà per scoprire nuovi talenti. Per me Stasera mi butto è stata
una grande possibilità che non immaginavo potesse darmi soddisfazioni importanti
come quella di arrivare, con gli altri finalisti di quella edizione, a fare una
trasmissione con Raffaella Carrà tutte le domeniche. Non fummo abbandonati da
Rai Due, contrariamente a oggi che c’è più la tendenza a usare e buttare i
giovani».
Uno dei tuoi cavalli di battaglia è stato il
buon Antonio Lubrano. Come si fa poi a uscire da un personaggio, ma soprattutto
si riesce a non rimanerne vincolato a vita?
«Credo che sia più un problema per chi ti vede.
Quell’imitazione è stata per me quasi una scommessa: era un tentativo di uscire
dalle solite imitazioni, non ero sicuro che potesse essere così efficace. E poi
quel personaggio, in un certo senso, è più Gabriele che Lubrano: c’è una tale
simbiosi tra i due. Di Lubrano mi piaceva la cadenza, il modo di comunicare ed
il personaggio che si avvicinava molto al mio voler essere comico. Uscire da
quel nome è stato praticamente impossibile, perché in fondo ero me stesso. La
mia ironia si legava molto al suo stile e agli occhi degli altri appariva anche
una vaga rassomiglianza fisica. Ma quando non sono un autore e mi limito a fare
l’interprete, credo di poter entrare anche in personaggi diversi da lui. Magari
anche un po’ truccato, così anche gli altri ci credono. Forse il problema è
stato più per Lubrano che, da un certo punto in poi, non è più riuscito a
svincolarsi dall’imitazione che ho fatto di lui».
Nel
corso di questi anni hai fatto tantissima tv, sulle reti nazionali e su quelle
private. C’è differenza nella libertà di espressione?
«La differenza c’è. Soprattutto quasi vent’anni
fa, quando non si potevano dire molte cose, anche a livello di volgarità.
Ricordo una mia battuta quando imitavo Piero Angela: giocavo sul nome degli
uccelli e fui costretto a modificare alcune cose. E ricordo anche la Carrà – che
io adoro - quasi sbiancare prima che la dicessi. Diciamo che tra il 1990 e il
‘95 in televisione tante cose non si potevano dire. In seguito è tutto cambiato,
sia per la volgarità che per la satira. Io, comunque, ho sempre preferito
l’eleganza e non la battuta scurrile. Chiaramente la grande differenza con la
televisione privata è che potevo veramente parlare senza controlli e censure, ma
anche lì ho cercato di non essere mai troppo cattivo e volgare».
Tra i tuoi ultimi impegni in tv c’è stato
Guida al Campionato. Il calcio, come la
politica, è sempre stato il bersaglio ideale per le imitazioni. Come mai?
«Paradossalmente trovo più difficile fare satira
con il calcio, è un argomento più “sacro” rispetto alla politica in cui i
politici accettano di essere imitati e non c’è quella passionalità dei tifosi
nei confronti della squadra del cuore. Ultimamente, però, nel calcio c’è più
dissacrazione, come tanti anni fa per la satira politica, e poi c’è sicuramente
un coinvolgimento maggiore che spiega questo successo. Quanto alla politica, i
politici originali, a volte, sono anche più comici delle copie».
C’è qualche personaggio che non ha
particolarmente funzionato?
«Prima di Lubrano, alla fine degli anni Ottanta,
avevo tentato di imitare Funari, un personaggio ai più antipatico o addirittura
sconosciuto. Fu difficile da far digerire agli altri, tanto che a un certo punto
rinunciai. Poi l’ho riproposto e mi ha dato grandi soddisfazioni. Addirittura in
molti preferivano la sua imitazione a quella di Lubrano. Per il resto c’è un
personaggio che da tanti anni faccio nel campo sportivo, Ancelotti, ma con cui
ho trovato sempre una grande resistenza. E poi Moggi che scoprii prima di tutti:
lo proposi al Bagaglino, ma solo per una volta perché non ci credevano, dunque
non mi ha dato le soddisfazioni che mi aspettavo».
Qual
è la tua opinione sulla comicità di oggi?
«Io non amo la comicità volgare: per far ridere
non occorre usare termini forti. Per esempio non mi piace molto Grillo o tutti i
vari “Grilletti” che sono in giro. Preferisco uno stile di comicità alla Troisi,
più raffinata, così come ho sempre amato molto la comicità napoletana nonostante
io sia romano. La comicità napoletana è addirittura filosofica. E mi spiace che
ci siano state trasmissioni che hanno portato avanti questo modo di far ridere
attraverso la volgarità».
Cosa rimproveri dunque agli imitatori del
presente?
«Non sopporto quando vengono bruciati dei
personaggi semplicemente con il travestimento o con l’utilizzo di un truccatore
bravo. Negli ultimi tempi tante persone si sono dedicate alle imitazioni senza
essere degli imitatori, semmai dei bravi attori, ma hanno avuto successo perché
si son potuti permettere i migliori truccatori sul mercato. Hanno dunque
lavorato molto sull’aspetto e poco sulla voce o sulle caratteristiche, magari
caricando anche oltre misura e uscendo proprio dal personaggio. Ai tempi di
Stasera mi butto, invece, non era così: il trucco non c’era, al massimo si
poteva giocare su un solo elemento come una parrucca o un paio di occhiali. Ho
apprezzato tantissimo Sabani e la sua coerenza: non ha mai voluto fare le sue
imitazioni truccato, ma ha cercato sempre di far ridere attraverso pochi
elementi, come un ghigno o un atteggiamento particolare».
Come ti definiresti oggi?
«Un “malincomico”, un comico che non è mai
riuscito a liberarsi dalla sua malinconia, anche perché non sono nato come
comico, ma come autore di canzoni. Volevo fare il cantante, però la strada era
dura e quando ho scoperto l’imitazione, a malincuore mi sono buttato su questa
strada. Ho imparato a scrivere cose comiche successivamente, e mi sento portato
più per l’ironia che la comicità. L’etichetta di imitatore mi ha sempre
limitato. Definirmi è difficile: mi sento più un attore che sa scrivere, anche a
livello di canzoni. Sono un artista che cerca di usare tutte le corde per poter
sentirsi appunto un’artista. E poi, dopo aver fatto una parte in un film di Pupi
Avati - uno dei pochi registi che non si fa suggestionare dalle etichette –
spero di avere prima o poi una grande chance come attore, magari proprio con
lui...».