Telegiornaliste
anno II N. 21 (53) del 29 maggio 2006
Andrea Mantovani, giornalista e allenatore
di Mario Basile
E' stato il primo giornalista - allenatore nel Veneto. Ex
calciatore, Andrea Mantovani
ha iniziato la carriera giornalistica pochi anni fa, dopo aver appeso le
scarpette al chiodo. Oggi è uno dei volti di Pianeta Donna Sport: il
primo talk-show tutto dedicato al calcio femminile.
Come ha iniziato a fare il giornalista?
«A dire la verità il fatto di fare il giornalista non era
assolutamente contemplato nei miei progetti presenti e futuri, ma, come
tutte le cose migliori della mia vita, è capitato per caso. Sono una persona
che crede nel destino, anche se qualche volta bisogna dargli una mano».
Qual è il tipo di giornalismo che predilige?
«Naturalmente quello sportivo, anche se scrivo anche di
cronaca in alcune testate. Sono una persona che ama mettersi continuamente
in discussione. Esempio: mi sono messo in testa di diventare il primo
giornalista allenatore in tutto il Veneto. Caparbio come sono, dopo due mesi
di estenuante corso, assieme anche ad ex professionisti del calcio, ci sono
riuscito: sono anche un allenatore patentato».
Lei è uno degli ideatori della trasmissione Pianeta
Donna Sport. Cosa vi ha spinto a realizzare un programma interamente
dedicato al calcio femminile?
«Si, sono uno degli ideatori. L'altro, lo sottolineo, è Ivan
Bertani, mio socio ed amico in questa avventura. Per quanto riguarda la
molla che ci ha traghettato in questo mondo, per prima cosa, la caparbietà
di Bertani ad insistere su questo movimento: io ci ho solo messo il mio
dinamismo, e naturalmente la mia competenza. Poi il fatto che questo calcio
è una realtà che deve crescere e quindi vogliamo prenderla per mano e
diventare grandi assieme. Inoltre questo movimento è puro ed incontaminato
da falsità e pregiudizi. E questo non è cosa da poco».
...soprattutto in questo momento. Nonostante vada in onda
da pochi mesi, Pianeta Donna Sport ha raggiunto in poco tempo
buonissimi ascolti. Da dove nasce questo successo?
«Non vorrei essere banale, ma la cosa nasce dall'impegno di
tutti e dal fatto che pensiamo di essere i primi ed unici a dedicarci così
integralmente al calcio femminile italiano di A, B e C».
Infatti la vostra trasmissione è l’unica nel panorama
nazionale che dia piena visibilità al calcio femminile. Secondo lei perché
programmi di questo tipo non trovano spazio anche sulle maggiori reti
nazionali?
«Penso che sia una questione di mentalità e di mass media.
Più visibilità porta più sponsor. E’ una ruota che gira dalla notte dei
tempi. In Germania, come nel Nord Europa, il calcio femminile è molto visto,
più conosciuto. Un giorno forse ci avvicineremo, ma vedo ancora lontano il
fatto di diventare come loro».
Cosa manca, oltre alla visibilità, al calcio femminile
per fare un decisivo salto di qualità ed affermarsi definitivamente tra gli
sport più seguiti in Italia?
«Tanta visibilità, tanti sponsor e tanti soldi per
promuovere il marchio “calcio femminile”. Questo a mio avviso è il flusso
necessario per ottenere i risultati. Ma prima di tutto manca l'unità tra le
società. Devono creare un gruppo dirigenziale solido che si faccia sentire
nei piani alti con una programmazione marketing ben pianificata e concreta.
L'unità dà la forza!».
C’è qualche aneddoto della sua carriera che ricorda con
maggiore affetto?
«La mia vita è tutta un aneddoto. Sto conquistando spazio a
livello cartaceo e televisivo, però sono triste ed un po’ arrabbiato perché
più vai avanti e più ti accorgi di amici di circostanza e magari di altri
che hai lasciato e pensandoci bene erano persone veramente sincere nei tuoi
confronti».
Ha avuto dei modelli di giornalismo?
«Brera era il giornalista più colto del giornalismo sportivo
italiano del ‘900. Sono cresciuto con le sue massime ed il suo modo, a dir
poco sarcastico, di eludere con battute il problema e poi spalmarlo in
maniera semplice per poi tramutarlo in notizia alla portata di tutti».
Un consiglio ai tanti ragazzi che vogliono intraprendere
la carriera giornalistica.
«Beh, sono un ragazzo anche io dall’alto dei miei 34 anni. A
parte gli scherzi, io credo che i giovani siano privi della cultura del
“farsi le ossa”: vogliono tutto e subito. Non fanno la dovuta gavetta e
ancor peggio non provano o non hanno provato sulle spalle l’argomento in
questione, proiettandosi nel mondo del lavoro senza preparazione adeguata.
Nel mio caso sono un giornalista sportivo ed ho giocato fino a 31 anni, poi
le circostanze come ho detto mi hanno portato a fare il giornalista.
Consigli ai giovani? Andate avanti a testa bassa, ponetevi degli obiettivi,
uno alla volta, non dieci di fila e piano piano vi costruirete un regno di
cultura e praticità. Altro consiglio, ascoltate tutti e tutto, magari
dandogli anche ragione, poi fate quello che volete. Ma attenzione: appena
diventerete qualcuno subirete una serie di ingiurie e diffamazioni
impressionanti, il tutto perché state lasciando il segno. Non preoccupatevi,
fa parte del gioco, ve lo dice Andrea Mantovani».