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Intervista a Rebeka Legovic tutte le interviste
Rebeka LegovicTelegiornaliste anno V N. 9 (180) del 9 marzo 2009

Rebeka Legovic: il giornalismo, che bel viaggio
di Giuseppe Bosso

Nata in Croazia, Rebeka Legovic si laurea nel 2005 in Scienze della Comunicazione presso l’Università degli studi di Trieste. Tra le sue prime collaborazioni quella con la redazione cultura e spettacoli de La Voce del Popolo. Approda poi a Tv Koper Capodistria dove cura il telegiornale e le trasmissioni per la minoranza italiana, oltre a diventare autrice e conduttrice di L’appuntamento. Contemporaneamente collabora con il giornale croato Livingstone Magazine Croazia e approda a RTL Croazia come reporter e inviata di trasmissioni di costume e società.

Cosa è cambiato per la Slovenia l'ingresso nell'Unione Europea?
«Sono cambiate sì delle situazioni, ma non percepisco questo salto di qualità così importante. Lo stesso varrà per la Croazia, d'altronde sono due Paesi che contano ben poco in ambito europeo, e quindi stando al margine ti aggreghi alla locomotiva, sei un vagone e basta. Cambieranno tanto quanto lo vorranno. Forse sarà un'affermazione pesante, ma personalmente credo che la politica, le istituzioni, le religioni, come del resto tutti i meccanismi legati al potere, siano solamente degli organi per far stare tranquillo questo gregge di oltre sei miliardi di pecore. L'Unione Europea è un marchingegno che funziona altrettanto, avrà una sua durata, e i suoi ritmi sono scanditi ovviamente dagli interessi di un pugno di individui. Il bene comune è una grande cavolata. In politica nulla succede per caso, i cambiamenti sono progettati a tavolino e ogni Paese è indipendente, libero ed accettato nella grande Comunità solo dopo aver capito e metabolizzato le regole del gioco».

Come ti sei avvicinata al giornalismo?
«Scrivevo sin da piccola, mi piaceva tanto. I compiti in classe erano sempre il mio asso nella manica. Poi le poesie, gli aforismi.. insomma, mi diverte molto l'arte della parola e di conseguenza dello scrivere. In realtà, esiste un'altra mia passione: il design. Avrei voluto fare la stilista, ma purtroppo, almeno per ora, il sogno si è arenato non solo per motivi finanziari, ma anche per tutta una serie di scelte e motivazioni razionali. E così ho optato per l'alternativa, il giornalismo. Una strada che comunque mi piace tantissimo e che mi diverte perché, almeno per quanto mi riguarda, è un lavoro creativo. Insomma, la televisione ti offre molte possibilità di espressione».

Cosa significa per te lavorare a un'emittente come Tele Capodistria?
«È un'emittente che ha una storia importante. Lì dentro ti fai veramente le ossa».

Tra i tanti personaggi che hai intervistato quali ti hanno colpita maggiormente?
«Ribadisco che il mio è un lavoro divertente, a prescindere dalle responsabilità che uno ha nei confronti dei telespettatori. Incontrare e conoscere persone è sicuramente un privilegio, non perché siano famose e nella maggior parte dei casi ammirate dal pubblico, ma perché ogni individuo è un mondo a parte, e per uno che osserva e ascolta attentamente, l'incontro rappresenta sempre una fonte inesauribile di ricchezza e scoperta, indipendentemente dalla positività o negatività della comunicazione. Se devo proprio scegliere un personaggio che mi ha colpita, allora nomino sicuramente Leo Gullotta e Gino Paoli. Tante altre sono le persone con cui ho avuto modo di interagire in ambito lavorativo e che hanno lasciato un segno. Come giornalista mi occupo anche di arte contemporanea e ovviamente ti ritrovi ad intervistare artisti, persone creative con idee particolari, che molto spesso sparano semplici cavolate, oppure vere e proprie perle di saggezza. Cosa mi colpisce? Tutto quello che rappresenta un prodotto mentale almeno in parte non plasmato dalla società in cui operiamo, ma bensì da un pensiero critico personale che purtroppo assente nella maggior parte degli individui. Mi affascina chiunque sia in grado di riflettere cercando di essere afflitto il meno possibile dal pensiero dominante. È un dettaglio, ma come è ben noto, sono i dettagli a fare la differenza».

Gli ultimi fatti di cronaca vedono spesso gli stranieri responsabili di gravi delitti come stupri e omicidi. C'è la tendenza dei media ad aumentare l'immagine negativa di chi viene dall'estero?
«I media amplificano tutto, non solo l'argomento in questione. È come un passepartout. Comunque il discorso è molto articolato ed è difficile rispondere senza scendere negli abissi della psicologia e della sociologia. Posso dire soltanto che, insieme alla democrazia e la libertà di parola, anche l'obiettività dell'informazione è una cavolata per farci sentire più liberi e più tranquilli».

Quanto è importante per te l'immagine?
«Sarei ipocrita a dire che nel mio lavoro l'immagine non conti. L'occhio della telecamera è tremendo e, di conseguenza, anche quello di un telespettatore. Conta certamente, ma non è un problema per cui non ci dormo la notte».

Ritieni superato lo stereotipo della donna dell'Est vista come figura bella e glaciale?
«Gli italiani, come del resto tutti gli altri popoli, generano stereotipi per poter catalogare al meglio gruppi o fenomeni societari. Ne siamo influenzati tutti, poi dipende dagli strumenti che uno possiede, come e se riuscirà a "maneggiare" un determinato precetto. Insomma, credo che questo stereotipo, come d'altronde quello diametralmente opposto affibbiato alla donna latina, difficilmente potrà essere superato».

La tua idea su Telegiornaliste?
«È sicuramente un sito curioso, ne sono venuta a conoscenza tramite amici e colleghi che mi hanno parlato del forum in cui ci sono appunto molte immagini della mia trasmissione. Colgo l'occasione per salutare e ringraziare tutti i miei telespettatori che mi seguono e scrivono. Il feedback rappresenta senza dubbio una bella soddisfazione. Comunque si tratta di un contenitore virtuale interessante che riunisce tutte le telegiornaliste italiane e non. È un piacere conoscere indirettamente le proprie colleghe».

Dove vuoi arrivare nel giornalismo?
«Non parlo dei miei progetti e delle mie ambizioni. Diciamo che è un bel viaggio, e ogni viaggio può essere inteso e vissuto con un'infinità di modi».

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