Telegiornaliste anno V N. 7 (178) del 23
febbraio 2009
Stefano La Marca: «Tanti
giornalisti hanno la passione della cucina...»
di Mario Basile
Napoletano
trapiantato a Roma,
Stefano La
Marca è uno dei pilastri della redazione
romana di Studio Aperto. Ai microfoni di
Telegiornaliste ha raccontato del suo
lavoro e della partecipazione al Premio
Piatto D’Autore, gara di cucina in cui si
sono cimentati volti più o meno noti del
giornalismo italiano.
Fino al 2003 hai lavorato alla redazione
napoletana di Studio Aperto, poi il
trasferimento a Roma. Come si lavora in queste
due città?
«Tutti considerano Napoli una grande palestra.
Ora, al di là della banalità e del luogo comune,
è chiaro che facendo il corrispondente da Napoli
per una tg nazionale si è portati a raccontare
la cronaca, soprattutto quella nera, che è
sempre una grande scuola. Ma al tempo stesso è
un limite perché altri tipi di esperienze, a
Napoli, sono difficili se non impossibili.
Quindi se si vuole arricchire la carriera
bisogna trasferirsi, anche perché le televisioni
locali non hanno redazioni molto ampie e quelle
nazionali, dal canto loro, le hanno concentrate
a Milano e Roma. Questo vale anche per quelli
che aspirano a fare un lavoro di “desk” nei
giornali o di “line” nelle televisioni. Così ho
deciso di andare a Roma dove ho fatto altre
esperienze che non giudico né migliori né
peggiori di quelle napoletane. Solo diverse».
Professionalmente parlando, rifaresti tutte le
scelte che hai fatto?
«Indubbiamente. Dico questo perché ho avuto
davanti a me un panorama molto ampio che mi ha
permesso di fare molte esperienze. Certo,
percorrendo altre strade avrei potuto fare anche
altro, però posso dire che tutto sommato mi è
andata bene perciò ripeterei tutto».
Il web è spesso impietoso con Studio Aperto.
Ci sono diversi blog in cui si fa ironia
soprattutto sui contenuti del giornale. Sapevi
di questa cosa? Ne parlate in redazione?
«Sì, lo sappiamo e devo dire che a volte sono
molto divertenti. Del resto noi non siamo una
redazione impermeabile a quello che succede
all’esterno. Anzi, teniamo sempre d’occhio le
nuove tecnologie, sia perché ci rivolgiamo ad un
pubblico giovane, sia perché la tecnologia è un
nostro cavallo di battaglia. Non ci sono
sfuggiti quindi questi blog, che, ripeto, a
volte sono divertenti, ma al tempo stesso
rappresentano delle critiche da cui cerchiamo di
trarre il meglio senza lasciarci condizionare
troppo».
Si è troppo cattivi con Studio Aperto?
«Io mi chiedo quale autorità decida cosa abbia
dignità di notizia. Perché deve essere tutto
assolutamente serioso? Studio Aperto, da anni,
ha inaugurato una nuova linea che, con la
direzione di Mulè, ha raggiunto il suo punto più
alto. Una linea che sa unire temi di primo piano
come l’economia e la politica con la parte più
frivola».
A domande simili i tuoi colleghi ci hanno
risposto che, nonostante tante critiche, gli
ascolti premiano Studio Aperto. Ma bastano
ottimi ascolti a fare di un telegiornale un buon
telegiornale?
«Gli ascolti fanno la parte del leone: con essi
si ha credibilità, la possibilità di fare
investimenti e scelte. Vale anche per la carta
stampata: un giornale fatto bene, ma che vende
poco, non serve a niente. In ogni caso un
telegiornale è fatto anche dall’autorevolezza di
chi ci lavora e dalla bontà delle scelte
quotidiane che si fanno in redazione. Questi
ultimi sono elementi importanti per fare un buon
tg».
Facebook è la grande moda del momento. Dai
personaggi famosi alla gente comune, sono ormai
tutti sul web. Lo ritieni uno strumento utile?
«Utilissimo. Lo trovo un grande divertimento e un
modo per incontrare persone con cui magari ci si
era persi di vista. Dal punto di vista
strettamente professionale, invece, lo ritengo
uno strumento fantastico perché ci sono
veramente tutti. I politici, ad esempio, come il
Ministro Gelmini e perfino la Principessa Rania
di Giordania...».
Sei stato tra i finalisti dell’ultima edizione
del Premio Piatto D’Autore. Ci racconti
quest’esperienza?
«Mi sono divertito moltissimo. Alla fine le più
brave sono state le colleghe della Rai, però ho
scoperto che ci sono tanti colleghi con la
passione della cucina, sia uomini che donne.
Evidentemente il connubio scrittura-cucina
funziona».