Telegiornaliste
anno IV N. 30 (155) del 4 agosto 2008
Michelangelo Iossa e il fenomeno Beatles
di Valeria Scotti
Giornalista pubblicista, critico musicale, fondatore di un ufficio stampa e
ricercatore universitario, Michelangelo
Iossa ha collaborato con alcune delle più autorevoli testate musicali
italiane: Jam Viaggio nella musica, L'isola che non c'era,
Rockstar. Tra i maggiori studiosi italiani del fenomeno Beatles, ha dedicato
alla band di Liverpool quattro volumi tra il 2003 e il 2006. Oggi è autore e
conduttore di Area Cd,
prima rubrica musicale televisiva prodotta in Campania, incentrata sulle
recensioni di dischi e sulle produzioni discografiche italiane ed
internazionali.
Quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo del giornalismo?
«Ho iniziato a 19 anni quasi per gioco: divoravo giornali musicali, riviste su
strumenti e ho sempre creduto molto nella critica musicale. E mentre oggi si dà
molto spazio alla critica letteraria che mantiene un suo status, quella musicale
è quasi sparita, anche perché le major discografiche investono molto in
pubblicità, orientando così i gusti del pubblico e non lasciando troppi margini
critici all’ascolto. La mia intenzione era dunque quella di fare il critico
musicale. Ovviamente non sono stato accontentato subito: mi presentai alla
redazione di Napoli Notte, testata gloriosa della mia città, che ogni
mercoledì pomeriggio si riuniva, e lì ho iniziato come cronista. Ricordo in
particolare due insegnamenti della caporedattrice di quel tempo: prendere il
taccuino e scendere per strada a incontrare le persone e fare giornalismo sul
campo; mai esordire un pezzo con l’intro “Nella splendida cornice di”».
Un impegno che hai conciliato brillantemente con gli studi.
«Sì, mi sono iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche, laureandomi nel 1999.
Non è stato sempre facile conciliare i due aspetti, ma con un po’
d’organizzazione ce l’ho fatta. Dopo un anno e mezzo di cronaca cittadina a
Napoli Notte, ho iniziato a occuparmi anche di musica proponendo la rubrica
Demo Tape: chiedevo ai musicisti professionisti e non di inviarmi i loro
demo. In poco tempo la redazione venne invasa da musicassette. Si è trattato di
un progetto interessante che mi ha permesso di entrare in contatto con il mondo
live della città. Nel 1999 poi ho fondato, con la mia collega Francesca
Capriati, l’ufficio stampa MFL Comunicazione e nello stesso anno ho iniziato a
collaborare con L’isola che non c’era, testata che si occupa di
cantautorato italiano, e con il mensile Jam, Viaggio nella musica. E’
arrivata da qui la proposta, nel 2003, di scrivere un libro dedicato ai Beatles
ed è iniziato così un altro aspetto del mio essere giornalista musicale».
Sei infatti un grande estimatore dei Fab Four, nonché profondo conoscitore di
ogni aspetto della loro carriera…
«I Beatles sono la bussola di questo mio percorso. Li ho conosciuti musicalmente
quando avevo 6 anni, mi fu regalato un disco e per me fu un colpo di fulmine.
Con gli anni ho collezionato molto materiale, nell’89 ho visto per la prima
volta Paul McCartney a Roma e nel maggio nel 2001 sono riuscito a incontrarlo a
Milano: è stato come chiudere il cerchio dell'intero percorso. Poi è iniziata
l’esperienza come scrittore: nel 2003 è stato pubblicato The Beatles, di
Editori Riuniti, a cui ho lavorato con il collega Roberto Caselli, libro che ha
ricevuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il Premio della Cultura.
Nel 2004, Editori Riuniti mi ha commissionato Le Canzoni dei Beatles: il
primo testo italiano che analizza, canzone per canzone, tutti i brani dei
Beatles, anche le cover da loro interpretate. Nel 2005, poi, c’è stato Gli
ultimi giorni di Lennon per Infinito Edizioni, una sorta di lavoro di regia
perché abbiamo voluto ricostruire i luoghi e gli spostamenti di Lennon. E nel
2006, sempre per Editori Riuniti, è uscito Le canzoni di George Harrison».
Un passione, quella per i Beatles, che manifesti anche come musicista.
«Verso i 14 anni ho iniziato a suonare le tastiere e, dopo esperienze in alcuni
gruppi - gli Out e i Condom - dal 1998 sono partiti ufficialmente i concerti dal
vivo con I
Sottomarini. In Italia siamo la Beatle-band più longeva, senza cambi di
formazione. Il nostro divertimento è quello di rifare i Beatles quanto più ci è
possibile, ma ovviamente sono inimitabili».
Sei il volto e la voce di Area Cd, la rubrica di recensioni inserita
all’interno del notiziario musicale May Day News del collega
Gennaro Pasquariello che abbiamo
recentemente intervistato. Come nasce il programma?
«E’ partito da un’idea di Gennaro. Abbiamo iniziato a lavorarci realizzando una
puntata pilota per capire il linguaggio da utilizzare o come muoversi negli
spazi. Abbiamo così deciso di occuparci per ogni puntata di due dischi – uno del
presente, l’altro del passato - con uno spazio di un minuto e mezzo per ognuno.
Il titolo, invece, si ispira a un programma che seguivo da piccolo, Super
Gulp! Fumetti in TV, il primo ad aver portato proprio i fumetti in
televisione. La scelta parte da un plafond di dischi che propongo, partendo dal
presupposto di Duke Ellington, ovvero che non esiste la musica pop, jazz, funky,
ma esiste la musica bella e quella brutta. Seleziono quella che io ritengo
essere interessante, ne discuto con Gennaro e limiamo alcune scelte. Ci piace
essere aperti, dare luce a quei dischi che potrebbero esser dimenticati o
sottostimati».
Se tu dovessi delinearmi la situazione della discografia italiana?
«In Italia si combinano più fattori al negativo. Il disco viene considerato come
un bene di lusso mentre il libro risulta essere un elemento di cultura, quindi
viene tassato al 4% rispetto al 19% di un disco e non si capisce il perché. E'
una cosa assurda visto che la musica è un patrimonio culturale. Spesso le
canzoni parlano per un popolo, si può tracciare una storia d’Italia attraverso
Sanremo, e c’è un Italia del boom raccontata da Modugno nella canzone Nel blu
dipinto di blu. La forza della canzone è proprio la sua brevità che racconta
comunque un mondo. La situazione della discografia italiana è purtroppo triste:
negli anni 70 c’era la scuola cantautorale italiana con Modugno, Tenco; poi c’è
stata la grande stagione di De Andrè, De Gregori, Dalla, sull’altro fronte
Cocciante e Baglioni. Una stagione molto fertile e ben schierata dal punto di
vista concettuale. E poi il trasversale Rino Gaetano, le grandi band di
progressive rock o la musica più domestica. Oggi ci troviamo in una situazione
paradossale: le parabole dei grandi cantautori stanno esaurendosi e non ci sono
più punti di riferimento. Ma siamo fortissimi su altri territori come la dance o
il jazz».
Cosa significa comunicare oggi?
«Comunicare in una realtà come quella di Napoli è forse più difficile. Nel caso
della mia agenzia, la fortuna è stata quella di aprire quando non c’erano grandi
realtà simili e oggi siamo l’unico ufficio stampa presente sull’Atlante della
Comunicazione e nell’Agenda del giornalista. Ormai i tempi della comunicazione
sono moltiplicati rispetto al passato. Si tratta di una comunicazione veloce
che, allo stessa velocità, dimentica. Credo con il tempo si arriverà a una
comunicazione che svilisce il profilo dell’autore, la cui presenza sarà
ridimensionata: non sarà più un orientatore di gusti, ma solo una delle tante
voci. Avremo una comunicazione con strumenti più leggeri fino ad arrivare a uno
strumento unico. Un flusso non ben disciplinato, un’unica onda continua per cui
varranno molto le passioni personali che permetteranno di selezionare quello
che, in maniera informe, arriva attraverso la comunicazione».