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Intervista a Keiko Ichiguchi tutte le interviste
Telegiornaliste anno II N. 27 (59) del 10 luglio 2006

Keiko Ichiguchi: fumetti giapponesi e editoria italiana di Gisella Gallenca

«Sono soprattutto una chiacchierona curiosa. Tuttavia questa mia curiosità è anche la fonte principale delle mie distrazioni. Dovrei focalizzare meglio la mia attenzione su un argomento per volta, o almeno credo».
Keiko Ichiguchi, nata a Osaka, classe 1966.
L’amore per i fumetti la accompagna fin da piccola. Diventa fumettista negli anni Ottanta. Si laurea in letteratura italiana. E poi, la grande svolta: Keiko sbarca a Bologna nel 1993 e qui si ferma.

La carriera decolla: libri, fumetti, e non solo. È una storia particolare la sua: in bilico tra oriente e occidente, in continuo contatto con l’Europa e il Giappone. Grazie alla disponibilità della Kappa Edizioni, la casa editrice che pubblica i suoi lavori in Italia, siamo riusciti a contattarla. Perché la sua esperienza è interessante e più di altre merita di essere raccontata.

Da dove nasce il tuo interesse per l’Italia che ti ha portata non solo a laurearti in lingua italiana, ma anche a venire a lavorare qui?
«Mi dispiace deludervi, ma anni fa non avevo uno spiccato interesse per l’italiano, come lingua! Per accontentare i miei genitori mi sono laureata mentre lavoravo, come fumettista, in Giappone. Ho avuto la fortuna di avere un ottimo professore italiano, che mi ha fatto scoprire il fascino di poter comunicare in una lingua straniera. Quando ho iniziato a desiderare di esplorare un mondo lavorativo diverso da quello giapponese, mi è tornato utile tutto quello che avevo studiato durante gli anni universitari. Chi avrebbe mai previsto che la mia vita avrebbe preso una piega simile?».

Nel tuo libro Perché i giapponesi hanno gli occhi a mandorla, descrivi in modo molto preciso il mondo del fumetto giapponese. In base alla tua esperienza, quali sono le analogie e le differenze con l’ambiente fumettistico italiano?
«Il mercato dei fumetti in Giappone è smisuratamente più grande di quello italiano. Per questo i tempi di lavorazione sono davvero molto stretti e i fumettisti spesso lavorano con orari disumani; ma finché reggono tali ritmi riescono a mantenersi disegnando. In Italia il mercato è molto piccolo, per cui non è facile mantenersi facendo solo fumetti. Tuttavia i due mercati si stanno mescolando, e i due mondi tendono ad avvicinarsi sempre di più. Mi sono accorta di questo durante la promozione in Belgio e in Francia di 1945: si tratta di un fumetto sulla vicenda storica del gruppo La Rosa Bianca, ambientato in Germania, durante i tristi giorni della seconda guerra mondiale. Ho interpretato una tematica tipica europea dal mio punto di vista giapponese ma sembra che fortunatamente abbia suscitato l'interesse anche del pubblico francese».

Nei tuoi lavori, fumettistici e non, spesso traspare una volontà di raccontare, in qualche modo, l’Italia ai giapponesi e il Giappone agli italiani. Secondo te, perché l’interesse reciproco tra le culture di questi due Paesi è sempre più forte?
«Riesco a vedere sia quello che gli italiani ignorano sul Giappone, sia quello che i giapponesi ignorano sull’Italia: per questo penso mi venga naturale e semplice raccontare di questi due Paesi nei miei libri. Come si legge in Perché i giapponesi non amano essere toccati (ovvero Keiko World #3), spesso le differenze maggiori sono visibili negli atteggiamenti che riteniamo più comuni, come viaggiare in metropolitana o regalare della cioccolata. Poi debbo aggiungere che gli abitanti della provincia di Osaka (il mio paese natale) amano molto chiacchierare e raccontare disavventure divertenti».

Pensi che, prima o poi, ti piacerebbe ritornare a lavorare in Giappone?
«Anche adesso lavoro per il Giappone come scrittrice, traduttrice e fumettista. Mi piacerebbe continuare in questo modo, penso di avere ancora tanto da raccontare. Se proprio siete curiosi di sapere altre novità sui miei lavori futuri, potete consultare il mio sito e il sito del mio editore italiano».

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