Telegiornaliste
anno III N. 41 (119) del 12 novembre 2007
Lucilla Granata: Sky, la televisione del futuro
di Pierpaolo Di Paolo
Nata a Cremona il 26 agosto 1972, Lucilla
Granata è giornalista professionista dal 2000.
In Rai per sei anni come inviata sportiva, oggi lavora a Sky Sport 1.
Lei lavora per Sky Sport 1 ma ha iniziato la sua carriera in Rai, che
differenze organizzative e di ambiente lavorativo ha potuto riscontrare?
«Sky è il massimo sia dal punto di vista tecnico che da quello delle idee. Sky è
innovazione, è futuro: hai presente il futuro della televisione italiana?
Certo la Rai per me è sempre mamma Rai. Io ci sono arrivata giovane, ci sono
rimasta per quasi sei anni e ho un affetto grandissimo che mi lega a quella
realtà. Devo anche dire che è totalmente diversa, fatta di grandi penne, grandi
giornalisti di fama nazionale e grandi potenzialità mai del tutto sfruttate.
Questo avviene perché è una realtà un po' più lenta, per tanti versi superata.
Però è anche vero che quando penso alla tv italiana, all'Italia, anche solo al
mondiale, automaticamente penso alla Rai.
Io adoro
Caressa, che è il giornalista più bravo al mondo, però vedere il mondiale
sulla Rai ancora mi fa emozionare».
Quindi Sky, anche se è l'ultima arrivata tra le grandi famiglie televisive,
rappresenta già l'apice per un giornalista?
«Assolutamente sì. Sky è una realtà che si è imposta in tempi brevissimi: in
soli quattro anni ha più che raddoppiato i suoi abbonati, e questa non è una
cosa casuale, considerando che è una tv a pagamento. Se quello che proponi non
piace, le persone non si abbonano o non rinnovano. Questo continuo incremento è
per noi un'affermazione importante, vuol dire che piaci e che la qualità del tuo
lavoro è davvero molto alta, anche considerando che un abbonamento a Sky non è
proprio la cosa più economica del mondo. Per un giornalista esser qui è un
continuo stimolo e sinonimo di una continua crescita».
Ne deduco quindi che non tornerebbe mai indietro. Non è possibile un suo
ritorno in Rai?
«Questo no, non lo so. Sono molto affezionata alla Rai e poi io penso che
rimanere troppo tempo nello stesso posto possa essere anche un limite per un
professionista, per cui non escludo nulla: non escludo un rientro in Rai, non
escludo altri cambiamenti».
Si sta riferendo a Mediaset?
«No, questo non lo so, bisognerebbe valutare tante cose. Ma non lo escluderei a
priori, questo mai».
Quale pensa che sia lo stato attuale tra sport e violenza? Dopo i fatti di
Catania e la morte di Raciti la risposta del governo è stata risolutiva, o i
risultati che abbiamo oggi sono solo temporanei e il problema ancora vivo?
«Secondo me assolutamente adeguata. Io, più che per la repressione, sono
dell'idea che bisogna operare per far crescere la coscienza civile delle
persone. Sono ottimista di natura e nonostante tutto continuo ad avere molta
fiducia nell'intelligenza dei tifosi. Sono assolutamente certa che la stragrande
maggioranza delle persone che vanno a vedere le partite siano persone
civilissime, tifosi veri, sportivi veri. E poi abbiamo anche visto come adesso,
a prescindere dalle manovre del governo o dagli interventi della polizia, quando
qualche isolato deficiente si mette a tirare bombe carta o razzi sono per primi
i tifosi che gli sono accanto che intervengono cercando di segnalarlo ed
allontanarlo. Questo mi rende molto ottimista».
Questo è accaduto a Torino, ma non è un episodio ancora troppo isolato nella
nostra realtà?
«E' successo recentemente anche in un altro stadio che adesso non ricordo, per
cui ci sono già un paio di occasioni in cui si comincia a vedere il venir fuori
e prevalere di una coscienza civile collettiva. Io speravo non si dovesse mai
arrivare ai fatti di Catania, però oggi sono assolutamente contenta e ottimista
sul futuro».
In Italia si è puntato molto sul potenziamento delle strutture con stadi
ristrutturati, tornelli, reti su interi settori per impedire il lancio di
oggetti. In Inghilterra, che non può certo vantare tifosi tranquilli e moderati,
gli spettatori sono invece praticamente in campo. Com'è possibile?
«Il modello inglese è assolutamente condivisibile, ma ricordiamoci anche che lì
non si picchiano più dentro gli stadi per farlo appena 300 metri fuori, per cui
il problema è soltanto traslocato ma di certo non risolto.
Ad analizzare bene la situazione non so davvero se siamo noi a dover imparare
qualcosa da loro, o non sian piuttosto loro a dover ancora raggiungere il nostro
livello.
Certo in Inghilterra lo spettacolo è indubbiamente molto piacevole e
scenografico da vedere, e questo sia televisivamente sia per lo spettatore che
siede allo stadio e può godersi la partita stando lì davanti senza recinzioni,
impedimenti, barriere... Ma secondo me una soluzione del genere è ancora
prematura per l'Italia».
Lei da inviata di sport si è trovata spesso a commentare episodi di violenza?
Qual è stato il collegamento più difficile che ha dovuto realizzare?
«Una volta a Reggio Calabria ero a bordo campo e a fine partita si è scatenato
improvvisamente il putiferio con un fitto lancio di oggetti dagli spalti.
Barzagli, che era proprio di fianco a me, è stato colpito, mentre io son
riuscita fortunosamente ad evitare un paio di oggetti scansandomi. In una
seconda occasione, a Cagliari, mi son trovata nel mezzo di una rissa nel tunnel
tra i giocatori che andavano negli spogliatoi. Questi sono episodi che ci
stanno. Non ho mai avuto paura ad andare allo stadio, continuo a non averne, e
continuo a pensare che sia un gran bello sport al di là di tutto, al di là del
comportamento di quelli che cercano di rovinarlo».
Quindi può testimoniare che anche il comportamento dei protagonisti non è
sempre encomiabile a tal proposito. Questo è un pessimo esempio per la testa
calda che si trova sugli spalti e magari ha bisogno solo dello spunto giusto,
cosa ne pensa?
«Prima ancora che giocatori di calcio e personaggi pubblici, sono ragazzi. E'
chiaro che devono tener presente che il loro comportamento influenza migliaia di
ragazzini che vogliono solo seguire il loro esempio, ma non è sempre facile
mantenere il controllo in campo. Non è facile, non sempre ci riescono, però sono
sempre i primi a scusarsi quando succede qualcosa di sbagliato e questo è già un
buon segnale».
Ma quando questi gesti provengono da chi ragazzo non lo è più? Mi riferisco
all'episodio di Baldini che nella partita tra Catania e Parma ha rifilato un
calcio a Di Carlo.
«Baldini è un amico, per cui non mi va di parlarne male. E' chiaro, ha
sbagliato. Io d'altronde ero proprio lì a bordo campo e posso dire che se da un
lato non si può che condannare il suo gesto, dall'altro si deve anche rilevare
che è stato un gesto istintivo, connotato da pochissima violenza, tanto che mi è
sembrata più una cosa comica che altro.
Certo è da condannare, ma anche lui ha chiesto scusa e direi che è finita lì».
Lei nasce come giornalista sportiva o ha iniziato facendo cronaca?
«Prima di passare alla Rai ho lavorato alla radio e poi alla televisione di
Bergamo, e lì mi sono occupata di cronaca. Ho dovuto lavorare anche a casi di
omicidio e sinceramente l'esperienza acquisita mi fa dire che non è quello che
mi piace fare, non è il ruolo che fa per me. Come giornalista sportiva mi sento
molto più a mio agio e credo di avervi trovato la mia dimensione».