Telegiornaliste
anno IV N. 20 (145) del 26 maggio 2008
Francesco Gazzè, una vita intorno alla scrittura
di Valeria Scotti
Francesco Gazzè
è un autore completo. Poeta, scrittore, paroliere delle canzoni del fratello
Max. Dotato di una creatività preziosa - le sue parole scelte sempre con cura e
le espressioni evocative e mai banali ne sono la testimonianza - Francesco ci ha
regalato una lunga chiacchierata.
Giochi e lavori con le parole. Definiamo il tuo rapporto con la scrittura?
«E’ sicuramente un rapporto d’amore. Ho cominciato con poesie molto diverse che
ho anche rinnegato più volte (ride, ndr), ho scritto dei libri intorno ai
25 anni, poi lavorando con Max sono arrivato alle canzoni. E’ una crescita
continua perché si cerca di sperimentare sempre cose nuove. Ne ho fatta ormai
una specie di religione: la scrittura e il suono delle parole hanno riempito
tutta la mia vita».
Tra le pubblicazioni passate del Gazzè poeta, ci sono quattro raccolte di
poesie - Piovve su Emilia, Delirio minimo, Scorribande lineari,
Frammento e Fragile - che però non sono più in commercio...
«Furono pubblicate da piccoli editori che non hanno poi più fatto delle
ristampe. Ho selezionato comunque alcune di quelle mie poesie e le ho raccolte
in una silloge che conto di fare uscire nel 2009, visto che la poesia è stata il
primo amore. E poi ci sarà anche la pubblicazione di un romanzo a cui sto
lavorando orami da due, tre anni».
Come
vivi la situazione attuale della poesia?
«La poesia è ormai inserita in vari campi come il cinema o la musica: spesso
nelle canzoni si avverte qualche traccia. Ma da sola, purtroppo, quasi non viene
più letta. L’amore per il suono della parola è un po’ sparito, ma è giusto che
ci siano anche altre forme che hanno sostituito la poesia. E’ comunque arte che
gira, la stessa passione sotto altre forme».
Nelle canzoni che scrivi con tuo fratello Max c’è sempre grande surrealismo,
come se i testi fossero “sospesi”. E’ una tua necessità? Quanto rubi dalla
realtà?
«E’ un gusto personale, un mio approccio alla scrittura che rimarrà sempre tale.
Mi piace creare la tensione tra una frase e l’altra, tra una strofa e l’altra,
anche tra il senso generale e il titolo. E poi è una sperimentazione con un
minimo di marchio che possa ricordare e far riconoscere il mio stile. La realtà
c’è sempre nelle canzoni che scrivo. L’ho solo parcheggiata nel libro che ho
pubblicato nel 2002 per Baldini&Castoldi, Il terzo uomo sulla luna».
Lavorare tra fratelli...?
«E’ addirittura più difficile. Siamo molto diversi come carattere, come
filosofia e poi abitiamo in città diverse. Nonostante questi ostacoli, quando
siamo insieme ci concentriamo e in quelle ore diamo il massimo, senza
risparmiarci».
Come agisce il Gazzè paroliere?
«Se lavoro su canzoni di Max, prendo la sua musica e l’ascolto per giorni,
finché non viene qualche idea o suono di parole che possa accordarsi. Ci sono
anche le assonanze che dettano legge, quindi c’è tutto un discorso tecnico da
portare avanti. Se invece si tratta di una mia canzone con chitarra e voce, la
porto a Max: molte volte nasce la prima strofa con la musica a cui poi aggiungo
il testo e si svolge tutto all’unisono. Altre volte scrivo delle poesie e se Max
le trova interessanti, compone poi la musica. Sono tre metodi validi che da una
decina di anni utilizziamo. Non ho preferenze e finché continuerò a divertirmi,
procederemo così».
Hai
partecipato anche a Liquido, il nuovo album degli Equ…
«Sì, ho conosciuto i ragazzi nel 2005. Quando mi hanno chiesto di partecipare
attivamente al loro lavoro, mi sono reso subito disponibile: sono delle persone
che meritano molto a livello artistico. Da un paio di anni ho cominciato a
lavorare anche per altri artisti. Fino adesso, con Max, quasi non ne abbiamo mai
parlato: è un discorso sottotraccia che non vuole disturbare il nostro
rapporto».
E tra le tue esperienze, nel 2006 ti sei cimentato nel creare un racconto
partendo da un brano di Tenco, Tu non hai capito niente, per Non sono
io il principe azzurro: antologia su Tenco. Come è nata quell’esperienza?
«La richiesta arrivò da un giornalista e, nel giro di un paio di giorni, scrissi
Il primo passo: parla dell’incomunicabilità di una coppia, soprattutto
quando si tratta di esternare i sentimenti. Spesso ci troviamo in un imbarazzo
che non permette alla coppia di vivere appieno il rapporto, vuoi per timidezza,
esitazione, esperienze sbagliate. E molte volte, quando non si fa questo primo
passo, si rischia di distruggere un rapporto idilliaco».
E' sempre più evidente l’assenza preoccupante di talento. Per le tue
capacità, ti senti un privilegiato?
«Sì, e non è una questione di presunzione. Io non amo molto l’immagine, i
clamori: preferisco mettere a frutto la creatività per poi mandare avanti gli
altri. Se non avessi lavorato con Max, forse tutto questo non sarebbe successo.
In ogni caso, la mia è una condizione privilegiata, un po’ come tutti gli
autori, scrittori, compositori. Per me il lavoro “dietro le quinte” è meno
stressante e molto più appagante rispetto a quello di chi si espone al
pubblico».
Un’ultima curiosità: da giovanissimo lavoravi in banca… e poi cosa è
successo?
«Essendo appassionato di informatica e di titoli, all’inizio ero contento di
questo lavoro, ma negli anni mi sono reso conto che qualcosa non quadrava. Ho
dovuto prendere una decisione, tra la disperazione di molti, e alla fine ho
fatto benissimo. Sono stato appoggiato da mia moglie e con lei ho aperto una
società di edizioni. Sono sicuramente molto più appagato ora e non tornerei mai
indietro».