Telegiornaliste
anno V N. 6 (177) del 16 febbraio 2009
Daniele Garbo: Mourinho, che
sorpresa! di
Giuseppe Bosso
Nato a Padova,
Daniele Garbo
è giornalista professionista dal 1991. Dopo aver
diretto le riviste Tennis e Match ball,
si è trasferito a Roma dove è approdato a
Mediaset come inviato sportivo.
Cosa ha comportato per voi giornalisti
Mediaset la perdita dei diritti sul campionato?
«Operativamente è cambiato il modo di lavorare.
Prima si montavano i servizi a tamburo battente
perché entro le 18 dovevano essere pronti per
andare in onda su Controcampo Ultimo Minuto.
Ora, invece, c'è più tempo: si lavora soltanto
per Controcampo delle 22 e 30. Fino allo
scorso anno, si montavano due servizi diversi
per
Ultimo Minuto e Diritto di Replica,
mentre ora il lavoro è decisamente più leggero.
E poi si montava tutto allo stadio, mentre ora
ci sono dei tempi morti perché bisogna rientrare
in sede. Tranne nelle località più distanti come
Lecce, Udine e Catania dove si continua a
montare allo stadio».
Due new entry del nostro calcio: Mourinho e
Ronaldinho. Come credi si siano inseriti?
«Non avevo molta simpatia per l’allenatore
nerazzurro all’epoca in cui guidava il Chelsea.
Ora che mi trovo in contatto diretto con lui, mi
sta diventando sempre più simpatico, soprattutto
per il suo carisma e la sua schiettezza nel dire
le cose in faccia senza mandarle a dire. Siamo
abituati ad allenatori da 0-0, nel senso che
tendono per lo più a nascondersi di fronte a
domande anche dirette, mentre lui non l’ha mai
fatto e direi che è una cosa positiva. Per
quanto riguarda il fantasista rossonero,
inizialmente ero scettico sul suo approdo nel
nostro campionato, ma col tempo mi sto
ricredendo anche se può ancora migliorare, come
ai tempi del Barcellona. Di certo va applaudito
per essersi rimesso in discussione affrontando
la sfida italiana».
A proposito di Mourinho e di allenatori, di
certo non ti sarà sfuggito il caso
Varriale-Zenga. Credi sia un indice di una
tensione crescente tra giornalisti e allenatori
e calciatori?
«Non credo sia così. Partiamo dal presupposto che
non sempre un allenatore, a caldo, abbia voglia
di parlare in televisione, specie dopo che
magari la sua squadra ha perso. Per quanto mi
riguarda, non ho mai avuto questo tipo di
problemi. Ho sempre pensato che sia una regola
fondamentale non fare subito la cosiddetta
domanda scottante, tenendola magari per metà
intervista. Ma parliamo pur sempre di
professionisti che guadagnano molti soldi e, per
questo, devono essere consapevoli delle regole
del gioco legate alla televisione. Indubbiamente
non è stata una bella parentesi per nessuno dei
due, ed è stato un bene che si siano chiariti la
domenica successiva».
I tifosi delle squadre del sud, Napoli e
Palermo soprattutto, lamentano a voi di Mediaset
di dare troppo spazio alle squadre del nord.
«Vivendo a Roma mi è capitato di ricevere
lamentele simili anche da amici romanisti. Ma la
verità non è che discriminiamo queste squadre.
Si deve tener presente che i nostri studi e la
nostra sede sono a Milano, per cui è molto più
facile per noi avere contatti con le varie
Milan,Inter e Juve, molto disponibili nel
mandarci i loro tesserati in trasmissione. E
comunque, come televisione commerciale, dobbiamo
inevitabilmente cercare di rivolgerci ad un
ampio bacino di spettatori-tifosi, per lo più
sono sostenitori delle squadre che ho citato, ma
non per questo Napoli e Palermo sono piazze meno
importanti, sebbene i rosanero, almeno
quest’anno, più che per i risultati della
squadra fanno notizia per le esternazioni del
loro presidente Zamparini».
Il tennis, tuo primo amore giornalistico, da
anni è alquanto in crisi in Italia. Per il
futuro c’è da essere ottimisti?
«Ormai saranno vent'anni che non riusciamo ad
imporci, anche se a livello femminile abbiamo
una campionessa come Flavia Pennetta che ha
raggiunto nella classifica mondiale posizioni
prima mai toccate da un’italiana. A livello
maschile, invece, temo che le cose non
miglioreranno tanto presto, come dimostra la
recente presa di posizione della Federazione nei
confronti di Simone Bolelli, che mi ha lasciato
alquanto perplesso proprio perché si è preclusa
la Coppa Davis a uno dei migliori tennisti che
abbiamo. È come se ci fossimo voluti dare una
martellata da soli, proprio in un momento in
cui, invece, dovremmo valorizzare maggiormente i
nostri elementi».