
Telegiornaliste 
									anno III N. 40 (118) del 5 novembre 2007
Ugo Francica Nava, veterano de La7 
                   di Giuseppe Bosso 
                   
                   Questa settimana abbiamo incontrato 
                   Ugo Francica Nava, 
telecronista sportivo di La7, grande esperto delle varie discipline nonché 
veterano della rete televisiva fin dai tempi di Cecchi Gori. 
                   
                   Ugo, dodici anni nella stessa emittente: è cambiato 
qualcosa rispetto agli inizi?
                   «Sicuramente il fatto che molto del nostro lavoro di oggi è 
caratterizzato dalle nuove tecnologie, soprattutto internet. Certo, da un lato 
ciò ha portato il moltiplicarsi delle fonti di informazioni cui il pubblico può 
accedere, ma al tempo stesso questo richiede una maggiore accortezza da parte 
nostra nella selezione del materiale di partenza. Per il resto devo constatare 
che quel tanto auspicato pluralismo non si è realizzato, i grandi editori sono 
sempre gli stessi e hanno ancora in mano il monopolio del mercato. Si è visto, 
ad esempio, per il digitale terrestre, che al momento rappresenta una sfida 
ancora da vincere, almeno al di fuori del settore pay tv».
                   
                   
                   Cosa ha comportato per lei e i suoi colleghi l'avvento del 
digitale terrestre e dei diritti sul campionato a La7?
                   
                   «Premesso che facciamo il nostro lavoro con grande piacere e 
soddisfazione, sia che riguardi le telecronache che le interviste del 
dopopartita o i collegamenti a bordocampo, dovendo occuparci soprattutto delle 
squadre per cui La7 ha i diritti abbiamo in qualche modo idea di come dobbiamo 
porci nelle telecronache. 
                   Intendiamoci, non voglio certo dire che dobbiamo essere di 
parte, ma che occorre una maggiore attenzione, tenuto conto delle esigenze e 
delle aspettative del pubblico che ci segue». 
                   
                   Cosa pensa del caso 
Del Piero che abbiamo vissuto ultimamente? Il capitano della 
Juve è davvero in declino come si pensa? 
                   «Non parlerei di declino, assolutamente. È ovvio che anche i 
grandi giocatori, quando arrivano a fine carriera, non possono pretendere dal 
loro fisico le stesse cose di dieci o quindici anni prima. 
                   Stiamo parlando di uno dei più grandi campioni di sempre, che 
ha dato e sta dando ancora molto al nostro calcio, e il talento e la classe non 
cessano mai quando ci sono. 
                   Venendo alla vicenda legata al rinnovo contrattuale con la 
Juventus, penso che tanto lui quanto il fratello procuratore abbiano giustamente 
cercato di sfruttare al massimo la sua posizione: non dimentichiamoci che Del 
Piero ha accettato di scendere in serie B da campione del mondo, per la società 
bianconera è più di un semplice giocatore, è un simbolo, ed è anche giusto 
aspettarsi un trattamento perlomeno pari a quello degli altri giocatori che 
hanno vissuto da protagonisti il ritorno in serie A della squadra».
                   
                   
                   Da catanese, cosa pensa del difficile anno, sportivamente 
parlando, che ha attraversato la sua città, dopo la tragedia di Raciti? 
                   «Sono siciliano e me ne vanto! Purtroppo il fatto che la 
tragedia sia accaduta nella mia città ha amplificato la vicenda, ma credo 
potesse accadere anche in altre città italiane. È innegabile che 
Catania sia una città difficile, per il pubblico e per la collocazione dello 
stadio, ma in fondo è una realtà non molto diversa da quella di altre frange non 
meno calde, da Roma a Milano. 
                   E' bene in ogni caso non confondere chi vive il calcio come 
una sana passione con i teppisti: qui si passa dallo sport al diritto penale! Le 
società, in questo senso, non mi pare stiano facendo molto a parte proclami di 
sorta, delegando per lo più il problema alla giustizia ordinaria che ha i suoi 
limiti e le sue sfaccettature. Il caso di Roma - Napoli, a cui hanno potuto 
assistere i soli abbonati romanisti, è esemplificativo della vera e propria 
situazione di ricatto in cui talvolta versano le squadre rispetto a queste 
frange di facinorosi». 
                   
                   Che differenze ha riscontrato tra la direzione Biscardi e 
quella Pastorin? 
                   «Aldo è un personaggio straordinario, per la sua grande 
passione e la sua veemenza verbale; lavorare con lui è stata un'esperienza molto 
gratificante, ma c'è anche da dire che la sua visione "calciocentrica" ha 
penalizzato un poco le altre discipline sportive. Diversa è stata la posizione 
di Darwin Pastorin, uomo di profonda sensibilità e, adesso, di
                   
                   Antonello Piroso, che lo ha sostituito di recente». 
                   
                   Non solo sport nel suo curriculum giornalistico: ha anche 
collaborato alle news sulla guerra in Iraq. Per un giornalista sportivo trattare 
altri argomenti cosa comporta?
                   
                   «Ogni settore ha le sue specificità e le sue caratteristiche 
peculiari, e se si riesce a passare da uno all'altro si sviluppano indubbiamente 
grandi competenze e qualità. La cosa importante è in ogni caso riuscire sempre a 
essere intermediari umili e onesti tra la notizia e il pubblico, sia che ci si 
occupi di sport, di economia o di cronaca».