Telegiornaliste
anno IV N. 2 (127) del 21 gennaio 2008
'O Curt, il cortometraggio si racconta di
Valeria Scotti
Nella grande rivoluzione digitale muta il modo di pensare, di fare cinema.
Crescono gli autori in video alla costante ricerca di un palcoscenico mediatico.
E per quelli che desiderano comunicare in un lasso di tempo breve, il
cortometraggio affascina. Sottile, s'insinua in quei pochi spazi che ad esso
sono riservati, come concorsi e festival cinematografici.
Abbiamo incontrato Giacomo Fabbrocino, videoartista e critico
cinematografico. Tra i fondatori della Scuola di Cinema Pigrecoemme di
Napoli e autore di numerosi lavori – tra questi, il suo video Trame,
realizzato con Giulio Arcopinto, è stato esposto al Vittoriano di Roma nel 2006
- Giacomo è coinvolto anche in 'O Curt, rassegna dedicata ai
cortometraggi che avrà luogo dal 6 al 9 febbraio presso l'Istituto di
Cultura Francese Le Grenoble di Napoli.
Dieci edizioni di ‘O Curt. Facciamo un bilancio?
«'O Curt è la più longeva rassegna napoletana di cortometraggi. In tutti
questi anni, la manifestazione si è evoluta da piccola vetrina riservata alle
produzioni partenopee a festival internazionale con premi, giurati di prestigio
ed una risonanza mediatica senza pari, almeno in Campania. Il tutto senza i
faraonici finanziamenti che spesso hanno benedetto iniziative ben più cariche di
ambizione, ma che presto hanno chiuso i battenti. 'O Curt ha dato spazio
ad autori ed esperimenti interessanti e si è proposto anche come momento di
riflessione sui linguaggi più sperimentali dell'audiovisivo: non solo
cortometraggi di fiction, ma anche videoteatro, videoarte e videoclip musicali.
Quest'anno poi, come Scuola di Cinema Pigrecoemme, rinnoveremo il
riuscitissimo esperimento dell'anno scorso: una sezione dedicata ai lavori degli
allievi delle scuole di cinema italiane. E' nostra intenzione promuovere,
piuttosto che la concorrenza, il confronto tra le Scuole di Cinema e siamo lieti
del fatto che le più prestigiose tra le scuole di cinema italiane abbiano
rinnovato con entusiasmo la loro partecipazione. Bilancio positivo, quindi,
anche se una maggiore attenzione da parte delle istituzioni non ci
dispiacerebbe».
Il
cortometraggio è ancora un banco di prova, una palestra per giungere poi alla
produzione di un lungometraggio o si tratta di una scelta convinta?
«Il cortometraggio può essere tutte queste cose, ma è, a mio parere, la forma
cinematografica più difficile ed insidiosa di tutte. Il cinema - la regia - è
gestione dello spazio e del tempo e, con meno spazio e meno tempo a
disposizione, si hanno meno possibilità di coinvolgere lo spettatore e meno
possibilità di recuperare agli errori fatti.
Come palestra è sempre la migliore, come forma autonoma non ha ancora alcun
appeal commerciale. Credo, tuttavia, che Internet potrà contribuire a modificare
le abitudini di fruizione del pubblico».
Chi è il pubblico dei cortometraggi?
«Un pubblico per lo più composto da appassionati di cinema a caccia di primizie.
Il saggio di diploma di Lars Von Trier o l'ultimo esperimento in digitale che,
con due lire, batte Matrix sul piano estetico fanno gola soprattutto a
costoro. Il resto è composto dai parenti e dagli amici dei "cortisti"».
Oggi il web quante opportunità dà alla diffusione dei corti?
«Infinite. Il problema non è tanto la diffusione dei corti via web, ma quanto la
libertà con cui girano e montano "milioni" di videomaker influenzerà il
linguaggio cinematografico. Niente di nuovo, però: la tecnologia ha sempre
influenzato i linguaggi artistici e, tra tutti i linguaggi, è stato ovviamente
il cinema ad esserne influenzato di più. Senza ripetere la solita solfa sulle
lenti speciali di Greg Toland, sulla steadycam di Garret Brown, o le ovvie
considerazioni sull'introduzione del sonoro, ricordiamo, ad esempio, che senza
le cineprese leggere non sarebbe esistita la Nouvelle Vague.
In realtà, però, più che con gli strumenti di realizzazione, il parallelo
andrebbe fatto con i metodi di fruizione. Mi viene in mente, così, che Internet
sta riportando lo spettatore all'originale consumo erratico ed occasionale di
audiovisivi. Prima di finire nelle sale, il cinema era un'attrazione da luna
park, per divertirsi tra un giro sulla giostra ed un tiro al bersaglio, così
come ora un video su Youtube è un ottimo diversivo tra una sessione di chat ed
una partita a Zuma o a Teris. Ma non c'è nulla di male».
Qual è la situazione attuale del cinema indipendente?
«Bisognerebbe riflettere su cosa si intende oggi per cinema indipendente. E' più
indipendente l'ennesimo film sundance-style farcito di nerd occhialuti che
viaggiano in mini van e che alla fine trovano l'amore o George Lucas che, in
totale autarchia economica e stilistica, reinventa come un Eisenstein o un
Vertov il linguaggio ed i meccanismi di realizzazione del cinema?».
Cosa dobbiamo quindi aspettarci da quest'edizione di 'O Curt?
«Serate piacevoli, sorprese e grande varietà. Saranno proiettate opere cinesi,
italiane, polacche, francesi. In più, un incontro con il grandissimo Ugo
Gregoretti. Non mancheranno momenti decisamente divertenti: la nostra scuola di
cinema sfiderà le scolaresche delle scuole superiori di Napoli a scrivere,
girare e montare un cortometraggio in sole tre ore. E poi la mostra Cliciak
dedicata alle più belle foto di scena scattate sui set italiani. Ce ne sarà per
tutti i gusti».