Telegiornaliste
anno III N. 42 (120) del 19 novembre 2007
Cecilia Donadio, la gavetta nelle tv locali
di Giuseppe Bosso
Tanti anni di lavoro nelle tv campane tra cui Canale 21 e Canale 8. E poi il
felice e meritato approdo alla Rai. Questo è il percorso di
Cecilia Donadio, giornalista
professionista dal 1992. Oggi Cecilia è alla guida della rubrica quotidiana del
Tg3 Nea Polis.
Hai alle spalle una lunga gavetta nelle tv locali napoletane. I tuoi ricordi
di quegli anni?
«Ho cominciato a
Canale 21 quando era la
televisione campana più vista in assoluto, più dello stesso
Tg3
regionale. Ho tanti ricordi di quegli anni quasi pionieristici. Quando andai
a fare il provino nella vecchia sede di Posillipo a Villa Lauro, a due passi da
casa mia, mi dissero: "Va bene, cominci domani" e così fu. Rigorosamente in
diretta, da vera incosciente.
Fra i miei colleghi all'epoca c'era Enrico Varriale che mi diede qualche
suggerimento e molto coraggio. Il resto lo fece la mia faccia tosta. Ricordo che
andavo in onda quasi sempre la sera intorno alle 23, e a quell'ora in tutta
Villa Lauro c'eravamo solo io e il tecnico dell'emissione. Il poverino, non
potendosi muovere, mi urlava da lontano: "Cecì, si' pronta?" e alla risposta
affermativa partiva la sigla. Quella gavetta è stato il modo migliore per
imparare a non temere la telecamera. Oggi riesco ad affrontare con grande
tranquillità la diretta che invece terrorizza molti colleghi».
Come si fa a passare dal circuito locale a quello nazionale? I canali
regionali possono essere ancora un buon serbatoio per le emittenti nazionali?
«I canali regionali sono sicuramente il modo migliore per capire cosa significa
fare telegiornalismo perché ti costringono ad imparare come superare le
difficoltà quotidiane del nostro lavoro. L'esperienza ti dà più chance per fare
il grande salto verso le emittenti nazionali. Molte delle conduttrici delle tv
nazionali vengono da quella scuola. Parlo di conduttrici perché è spesso un
vantaggio in più. Chi lavora nelle emittenti locali sa che bisogna saper fare di
tutto ma l'andare in video è ancora il modo più semplice per farsi notare. Oggi
però passare da un circuito all'altro è davvero una scommessa. I posti sono
sempre di meno e le pretendenti, come i pretendenti, sempre di più. Bisogna
davvero essere preparate, motivate e dotate di una volontà di ferro per
riuscire. Io ce l'ho fatta ma non è stato facile e ho avuto molti momenti di
scoramento. La testa dura d'ariete ha avuto la meglio».
Cosa vuol dire, secondo te, essere giornalista a Napoli oggi rispetto alle
problematiche della città?
«Non credo che essere giornalisti sia condizionato dalle problematiche della
città in cui si vive. Che sia Napoli, Palermo, Milano o New York, lo spirito
dovrebbe essere sempre lo stesso. La curiosità, la voglia di raccontare agli
altri in maniera semplice e diretta ciò che hai la fortuna di vivere e vedere in
prima persona, la consapevolezza di avere una responsabilità nei confronti di
chi ti ascolta o di chi ti legge».
Ritieni sia peggio accettare condizionamenti per poter lavorare oppure
rischiare il tutto per tutto pur di fare un'informazione trasparente?
«Vorrei poter rispondere che non è vero, che non ci sono condizionamenti e non
c'è nulla da rischiare nel fare un'informazione trasparente. Ma nessuno di noi
può dirlo. Alla fine però i conti si fanno con sé stessi e con la propria
coscienza».
Nea
Polis è una delle tante rubriche del Tg3 relegate ad un orario non
proprio di grande ascolto. Quali sono le vostre aspettative?
«Quando ho cominciato Nea Polis, nel gennaio del 2000, la rubrica aveva
da poco cambiato la fascia oraria dalle 17 alle 15 e non aveva ancora
un'identità. Si parlava di attualità, di spettacoli, di animali, poco di
internet. Poi è arrivata l'intuizione del nostro capo redattore Silvio Luise e
la virata decisa verso la potenzialità del web che in Italia era davvero ancora
tutto da raccontare. E così mi sono ritrovata parte della nascita di una cosa
nuova.
Se si esclude Mediamente, in onda davvero in orari impossibili, non
c'erano rubriche dedicate alla rete e il mondo di internet era un meraviglioso
fenomeno in continua evoluzione. Questo ha dato a me e ai miei colleghi un
entusiasmo particolare e ci ha consentito, nel corso degli anni, di conquistare
uno zoccolo duro di telespettatori che poi non ci hanno più abbandonato.
Oscilliamo intorno al 6% ma abbiamo raggiunto anche il 7,5% di share, vale a
dire dagli ottocentomila al milione di spettatori. Per la media della terza
rete, non è affatto poco. Noi tutti comunque ci auguriamo che Nea Polis
possa crescere ancora. Il sogno è affiancare alla rubrica quotidiana una puntata
settimanale di approfondimento, magari in orario serale».
I fatti di sangue di questi giorni a Roma (Tor di Quinto, Guidonia) sono solo
l'ultimo capitolo di una incredibile escalation di violenza in cui, purtroppo,
Napoli è spesso protagonista. In questi casi come pensi debbano porsi i media
rispetto al pubblico?
«I media, ripeto, dovrebbero raccontare i fatti, evitare giudizi e pregiudizi,
far parlare dove possibile i protagonisti. Personalmente non sopporto
l'invadenza di un certo giornalismo, soprattutto quello televisivo visto che la
telecamera intimorisce le persone e ci mette in una posizione privilegiata, di
forza.
In questi giorni è scomparso l'esempio forse più calzante di chi e di che cosa
dovrebbe essere un buon giornalista. Pensiamo ad Enzo Biagi e sapremo
esattamente cosa fare e cosa non fare del nostro lavoro».