Telegiornaliste
anno III N. 33 (111) del 17 settembre 2007
Maria Rosaria De Medici, tg per grandi e per piccini
di Giuseppe Bosso
Questa settimana incontriamo
Maria Rosaria De Medici: nata a Napoli il 3 aprile del 1966, è iscritta
all'Albo dei giornalisti professionisti dal 1997. Conduce il Tg3 e, dal
2004, il GT Ragazzi, sempre su Rai3.
Maria Rosaria, quali differenze ha riscontrato tra la conduzione del
Tg3
e quella di
GT Ragazzi?
«E’ diverso l’approccio con i telespettatori. I bambini hanno bisogno di un
linguaggio semplice e diretto. Anche se le notizie vanno spiegate a tutti senza
dare mai nulla per scontato, i più piccoli hanno maggiori esigenze di
chiarezza».
E' difficile porsi in modo adeguato verso un pubblico tanto giovane?
«Cerco di usare parole essenziali e chiare. Quando ho avuto i bambini in studio
con me, in diretta, è stato molto interessante e divertente suscitare i loro
interventi sui temi di attualità, con qualche domanda sulle loro esperienze».
Trattare argomenti anche dolorosi ma di attualità con i bambini è una
necessità per mostrare loro anche gli aspetti negativi del mondo?
«Su questo gli autori del telegiornale per ragazzi si sono interrogati, e hanno
consultato studiosi, esperti del mondo dell’infanzia. Le notizie sulla guerra e
sui fatti di cronaca vengono date con grande cautela, quelle troppo cruente che
coinvolgono bambini vengono tralasciate».
Lei è una delle tgiste più amate e
seguite dai nostri lettori, come dimostrano le tantissime immagini e i
messaggi su di lei: vuole lasciare un messaggio ai suoi fan?
«Mi fa piacere e voglio approfittare di quest’intervista per ringraziare tutti
voi, di cuore».
Ha scritto
Il lavoro del conduttore, prima opera dedicata al linguaggio
telegiornalistico: come si è evoluto nel tempo?
«Negli anni ’50, il telegiornale appena nato aveva un linguaggio molto simile a
quello dei cinegiornali, rotocalchi di notizie, illustrate con filmati
realizzati su pellicola cinematografica. La voce fuori campo del conduttore, un
annunciatore, leggeva le notizie con tono formale e distaccato, mentre
scorrevano sui teleschermi le immagini mute. Nel tempo, con la riforma della Rai
a metà degli anni ‘70 e con la nascita delle tv commerciali più avanti, il
telegiornale si è dovuto adeguare: intanto le tecniche di ripresa e di montaggio
erano diventate più agili e permettevano di realizzare in meno tempo i servizi
del tg.
La conduzione è diventata meno formale, e tanti conduttori hanno personalizzato
il proprio stile. Oggi, con il successo delle reti all news e dei siti internet,
il tg deve raccogliere la sfida dell’informazione del futuro. Il linguaggio dei
notiziari si modifica di giorno in giorno, con l’interazione tra spettatori e
giornalisti, sui siti internet dei vari telegiornali, e con l’uso e la
trasmissione di immagini girate su supporti digitali, come i telefonini. Tutti
siamo chiamati ad aggiornare la nostra professione».
Qual è lo spirito con cui i mass media devono portare a conoscenza del
cittadino le notizie di nera, ma anche quelle politiche?
«Lo spirito di verità, credo. Si cerca di verificare tutto, e di non enfatizzare
inutilmente gli aspetti cruenti delle notizie di cronaca nera, di non indugiare
su particolari morbosi che non aggiungono nulla alla comprensione dei fatti, ma
solleticano la curiosità dell’audience. Difficilmente le notizie sono positive,
altrimenti non sarebbero notizie. Vanno valutate con cautela e affidate al buon
senso del pubblico, cercando di fornire il maggior numero possibile di elementi
perché ciascuno si faccia una propria idea».
C’è un servizio o un’intervista a cui è particolarmente legata e, se sì,
perché?
«C’è un documentario girato a Napoli e trasmesso su Rai3 il 14 settembre 2006.
Si intitola Ferropoli e racconta la storia di due anziani ex dipendenti
dell’Italsider di Bagnoli, che sognano di rimettere insieme la vecchia compagnia
teatrale amatoriale del dopolavoro della fabbrica, ormai dimessa da anni.
Ferropoli è stato un viaggio nel cuore di un mondo ormai perduto, e un
confronto con le difficoltà della Napoli di oggi, un’avventura che mi lega per
sempre alle persone straordinarie che mi hanno permesso di realizzarla,
lavorando insieme con gioia e passione».
Chi è lo spettatore medio del Tg3?
«Non mi intendo di ricerche di questo tipo, credo che ci siano anche tanti
telespettatori “di contatto”, quelli che cambiano canale e poi si fermano se
trovano qualcosa di interessante».
Per concludere, ritiene che siano maturi i tempi per vedere, nel nostro
Paese, una donna dirigere un tg nazionale?
«Nella storia del Tg3 ci sono già state alcune donne al vertice del
giornale. In ogni caso credo che nel difficile compito di governare una
struttura complessa come il tg contino la dedizione e la creatività, il coraggio
e la voglia di innovare, l’onestà umana e intellettuale. Queste caratteristiche
non dipendono dal sesso. Un buon direttore motiva la sua squadra e la porta al
successo».