Telegiornaliste
anno III N. 36 (114) dell'8 ottobre 2007
Il nuovo sound di Max De Angelis di
Valeria Scotti
Lo scorso giugno è uscito 37 minuti, l’ultimo lavoro di Max De
Angelis. Una svolta decisiva per il cantautore romano, che ha esordito nel
2004 con il singolo La soluzione, seguito poi dall’omonimo album. Max è
decisamente cresciuto e lo dimostra con nuove sonorità e un atteggiamento più
maturo verso la musica. Perché sia di qualità.
37 minuti. Perché questo titolo?
«Abbiamo scelto il numero 37 per una questione di numerologia e scaramanzia. La
durata dell’album coincide. E tre più sette fa dieci, che è il mio numero
fortunato. All’inizio pensavo anche di chiamare l’album 37 non è febbre
per un particolare aneddoto. Un giorno, un musicista che ha lavorato nel disco,
ha dato forfait perché malato con 37 di febbre. E mi sono ricordato di mia madre
che mi diceva 37 non è febbre ma alterazione, quando da piccolo provavo a
non andare a scuola».
Hai definito questo tuo ultimo lavoro «molto meno furbo a livello
commerciale». Cosa pensi di chi sceglie invece di essere furbo, di puntare più
alle vendite che alla qualità?
«Ho dato questa definizione non perché abbia fatto il mio primo album (La
soluzione, ndr) in maniera furbesca. Quell'espressione è arrivata in
seguito da parte della stampa e degli addetti ai lavori perché, obiettivamente,
aveva delle caratteristiche molto radiofoniche e – come diciamo a Roma -
paracule. Mi sono allacciato a questo per definire il nuovo lavoro un po’
meno furbo. Inoltre mi piaceva addentrarmi nell’ambiente musicale più suonato e
acustico, che è anche quello che mi appartiene di più. Vengo dalle esibizioni
live con il mio gruppo da una vita. Dover riproporre dal vivo le canzoni,
utilizzando l’80% di sequenze, mi sembrava una mancanza di rispetto verso la
musica stessa».
Più volte hai dichiarato che c’è molto di autobiografico nei tuoi testi. Fino
a che punto vale per Nevica e E’ così, i due singoli estratti da
37 minuti?
«Mi piace fotografare le situazioni intorno a me. La maggior parte dei pezzi del
nuovo album – così come per il primo lavoro - sono autobiografici. E’ più facile
mettere in musica qualcosa che si prova sulla propria pelle. Non escludo di
raccontare anche esperienze che non ho vissuto in prima persona e che ho la
fortuna di vedere e di analizzare esternamente da spettatore».
Facciamo
un passo indietro: fine 2003. Il tuo primo singolo, La soluzione, ti ha
visto debuttare con un video dove non apparivi di persona. Come mai la scelta di
non mostrarti subito al pubblico?
«Per due motivi. Io e il mio staff pensavamo che il pezzo fosse talmente forte
che non andava contaminato con un’immagine. Tuttora non mi piace confondere il
messaggio in musica con quello che si può dare con il proprio aspetto, a volte
fuorviante. Successivamente, in fase di accettazione dello storyboard del video,
era prevista per alcune scene una controfigura, uno stuntman che avrebbe dovuto
sporgersi dal cornicione del sesto piano di un palazzo. Visto che ci piaceva la
scena come ce l’aveva raccontata Giangi Magnoni (il regista, ndr),
abbiamo deciso di girarlo interamente così, senza puntare al mio viso».
L’estate appena trascorsa ti ha visto impegnato su vari fronti. Prima di
tutto il tour. Come è andata?
«Quest’anno ho fatto tutte le tappe del Battiti Live organizzato da
Radio Norba, un tour
impressionante: sia per la gente che ha raccolto, che per il calore dimostrato
da quelli che vi hanno partecipato. Credo molto nelle kermesse che si sviluppano
in estate perché danno la possibilità a tante persone di conoscere la musica. Il
fatto che siano gratuite e in piazze così grandi contribuisce alla
sensibilizzazione sia per chi è affermato che per chi lo è di meno. In queste
tappe sono state superate anche le 80mila presenze. Non credo che un artista in
Italia oggi, a meno che non si chiami Eros o Ligabue, possa raccogliere tante
teste, tante anime tutte insieme».
A fine agosto, hai concluso anche l’esperienza come speaker radiofonico per
Radio Norba nel programma Il bello della diretta, insieme ad Antonio
Malerba. Utilizzare la voce, anche in quest’occasione, come strumento
principale, ma non per cantare. Come mai?
«Non credo si possano fare delle distinzioni tra una forma d’arte e l’altra.
Anche la radio è una forma d’arte. Non l’ho fatta prettamente da speaker. Ero
Max che conduceva un programma insieme a uno speaker radiofonico professionista.
E ho mostrato la mia persona senza filtri, senza imposizioni, a disposizione di
chi si è divertito ad ascoltare il nostro programma. L’ho vissuta come
un’esperienza molto libera e credo che, se si parla di arte, tutto debba esser
fatto così».
Quante soddisfazioni ti ha dato 37 minuti in questi mesi? E i tuoi
progetti futuri?
«Sapevo che 37 minuti sarebbe stato un disco difficile da far
metabolizzare. Quando si cambia, si va sempre incontro a delle difficoltà. E’ un
salto nel vuoto. Per questo, sono ancora più contento dei riscontri: che ho
definito turbo diesel. Non c’è stata un'esplosione immediata con l’uscita
del disco, ma adesso ho delle conferme, anche negli acquisti, che vanno man mano
aumentando nel tempo. Ho raggiunto uno dei miei scopi, quello di far concentrare
le persone sul messaggio e non sulla forma del disco stesso. Quanto ai progetti,
sto organizzando per l’autunno - inverno un mini tour acustico nei club. Ho
intenzione di farlo, anche gratuitamente, per appagare la mia voglia di suonare,
per tornare in quei posti che da tre, quattro anni non frequento e dove non mi è
stata data la possibilità di esibirmi.
Mi piacerebbe tornare nei club di duecento persone e far ascoltare, senza
pretese, anche solo mezz’ora della mia musica».