Telegiornaliste
anno III N. 39 (117) del 29 ottobre 2007
Al lavoro con Emergency di
Erica Savazzi
«Kabul ha un fascino esagerato: i colori, i volti, la
gente... Ogni gesto ha una cultura millenaria. Le montagne sono stupende e ogni
angolo è una sorpresa, pur essendo una città ancora in gran parte distrutta.
Khartoum, beh, è senza fascino... Il prodotto interno lordo del Sudan cresce
al 9% l'anno, il modello a cui stanno puntando: quello di Dubai. Una città
senz'anima».
Chi parla così è Davide Costa, 25 anni, un ragazzo dal
viso gentile e allegro. Il suo ultimo anno e mezzo è stato piuttosto
movimentato: prima in Afghanistan, a Kabul, poi a Khartoum. A lavorare per
Emergency. C'era quando Daniele Mastrogiacomo è stato
rapito, c'era quando è stato liberato. Ora coordina il reparto amministrativo
del nuovissimo centro cardiochirurgico costruito da Emergency a Khartoum.
«Il centro si chiama Salam, che in arabo vuol dire
pace, Center for cardiac surgery. E lo slogan di Emergency qui è: High
quality, free of charge health care in torn areas». Alta qualità, cure
gratuite.
«Emergency si è sempre occupata di civilian war victims,
cioè di chirurgia di guerra. Ora lancia una sfida ancora più grande, la
sanità gratuita in Africa con standard uguali a quelli dei migliori centri
di cardiochirurgia dei Paesi occidentali. Il progetto riguarda in totale circa
320 milioni di persone: non solo i sudanesi, ma anche gli
abitanti dei nove Paesi confinanti: Libia, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenia,
Uganda, Congo, Repubblica Centrafricana e Ciad. In questi paesi verranno aperte
nove cliniche pediatriche e per lo screening cardiaco che seguiranno i
pazienti visitandoli, e se necessario inviandoli al Salam Center e poi
seguendoli dopo il ritorno a casa. Il progetto è molto costoso, in Italia è in
corso in questi giorni una campagna di raccolta fondi:
Diritto al cuore».
Il centro Salam è stato inaugurato il 3 maggio scorso.
A pieno regime metterà a disposizione degli ammalati venti medici e sessanta
infermieri, tutti altamente specializzati. Emergency gestirà la struttura
occupandosi anche della
formazione del personale locale. Una volta che le
conoscenze necessarie alla gestione saranno state trasmesse alle comunità
locali, Emergency consegnerà loro il centro.
«Tra l'altro l'ospedale è stato progettato da un geniale
architetto veneziano», racconta ancora Costa:
Raul Pantaleo. «E' stupendo, mozzafiato, una delle cose
più belle di Khartoum, sicuramente».
«Il
Salam Center è vicino a a Khartum, a Soba, verso sud,
lungo la sponda occidentale del Nilo Azzurro. Noi abitiamo per il momento in due
grandi case a Khartoum, ribattezzate Mamoura e Riyad, in base al quartiere dove
si trovano. L'anno prossimo partiranno i lavori per costruire le residenze degli
internazionali nel compound dell'ospedale, a Soba. Per il momento facciamo venti
minuti di minubus per venire al lavoro. Qui in Sudan la maggior parte dello
staff internazionale è composta da italiani. Nelle altre missioni almeno
il 50% sono non italiani. Qui adesso siamo una quarantina, di cui una greca, tre
serbi, un pachistano e un'americana. La lingua di lavoro è comunque l'inglese, e
dopo un po' si comincia a masticare anche qualche parola di arabo».
Davide ha iniziato a lavorare per Emergency quasi per caso,
grazie alla sua ragazza, che aveva già partecipato a diverse missioni:
«Ovvio che sono partito per motivi umanitari e che la cosa
più bella del mondo è vedere un bambino che sorride quando se ne va dal nostro
ospedale, ma la verità è che la decisione di
partire ha molto a che fare anche con se stessi. Sono
sempre stato affascinato dai posti selvaggi, dalle terre di frontiera e dalla
storia. Mi piace da morire quando si deve prendere una direzione e si dice
"nord", o "sud", invece che "verso Torino" o "verso Milano". E' il senso dello
spazio, dell'esplorazione, del non certo. E c'entra anche la sfida
professionale. Se fossi rimasto in Italia non avrei mai avuto la possibilità
di avere le responsabilità che ho ora prima di dieci anni, almeno».
Si è parlato molto dell’attività di Emergency a Kabul durante
i giorni del rapimento dell’inviato di Repubblica
Daniele Mastrogiacomo: l’attività di negoziazione, poi la
liberazione del giornalista e la morte del suo interprete Ajmal e dell’autista
Saeed Agha, l’arresto del collaboratore di Emergency Rahmatullah Hanefi, la
decisione di lasciare l'Afghanistan per poi ritornarci a fine giugno dopo la sua
liberazione.
«Alla fine dall'Afghanistan sono stato evacuato due volte»,
racconta Costa. «Dopo che in aprile le condizioni di sicurezza sono venute meno
ci siamo trasferiti tutti e quaranta a Dubai. In seguito siamo tornati in cinque
a Kabul, per poi essere evacuati definitivamente in Sudan, dove stava per essere
inaugurato il Salam Center. In entrambi i casi la sensazione era quella
di incredulità: possibile che dopo tutto il lavoro che Emergency ha fatto
per anni siamo costretti ad andarcene così? Ci tornerei, sì. Anche se come
lavoro preferisco quello che faccio qui in Sudan, dove c'è un po' più "sistema".
Ma l'Afghanistan ti resta nel cuore».
Quando gli si chiede di parlare di una persona in
particolare, Davide Costa sceglie un ragazzo che è stato ospite dell’ospedale di
Kabul per tutto l’inverno scorso: «Nasrullah era la nostra mascotte. E' stato
dimesso il giorno stesso che ho lasciato per l'ultima volta l'Afghanistan. Gli
abbiamo regalato un pupazzo a forma di leone. In dari, "leone" si dice
sher. L'abbiamo salutato così: Hodofis bacia, hodofis sher:
arrivederci ragazzo, arrivederci leone».
E infine un commento su Gino Strada, il chirurgo di
guerra per eccellenza: «E’ un leader, indubbiamente, ma il suo lato migliore è
quello culinario. Da segnalare i suoi tagliolini fatti in casa con il ragù».