
Telegiornaliste 
	anno II N. 34 (66) del 25 settembre 2006
          
 
 
Angelo Cimarosti, un direttore cronista
                    di Giuseppe Bosso
                    
                    Angelo Cimarosti, 
nato a Porta Ticinese 41 anni fa, è direttore del telegiornale di Canale Italia 
dal gennaio 2005.
                    Ha iniziato in radio e televisione nel 1986. Dal 1988 al 
1993 ha lavorato come inviato per i programmi sportivi di Telemontecarlo, 
girando il mondo in lungo e in largo. Ma la cronaca e il reportage 
videogiornalistico, telecamera in mano, è la sua passione. Dopo un paio d'anni 
alla conduzione del Tg7
                    di Telecity - Italia 7, è passato a Sei Milano, la 
televisione all news lombarda, prima come capocronista, poi come caporedattore e 
per quattro anni direttore del telegiornale e condirettore dell'emittente.
                    
                    Dal 2002 al 2004 cronista al Gazzettino di Venezia, 
sempre con la cronaca e le inchieste nel mirino. Attualmente collabora con lo 
stesso giornale, con Repubblica Affari & Finanza e con Studio Aperto.
                    Ama andare in moto, il mondo del vino, Venezia, e cerca di 
non perdersi mai una bella mostra d'arte. Pensa che molto della vita sia nel 
Canzoniere di Saba.
                    
                    
                    E' soddisfatto della sua esperienza come direttore del tg 
di Canale Italia?
                    «Sono contento di avere iniziato questa avventura un anno e 
mezzo fa, ma non sono soddisfatto, non è nella mia natura. Certo, abbiamo 
triplicato gli ascolti, ma vedo sempre molto più quello che c'è da fare che 
quello che è stato fatto.
                    L'orgoglio per la formazione di tanti giovani colleghi in 
gamba c'è, come accadde quando dirigevo l'informazione di Sei Milano, che per me 
resta un'esperienza meravigliosa».
                    
                    Passando sul satellitare la sua emittente ha acquisito un 
bacino di utenza più ampio rispetto agli inizi: cosa comporta per una redazione 
in termini di carichi di lavoro e di qualità del servizio?
                    «In realtà è molto difficile capire di quanto sia ampio 
questo bacino, visto che gli ascolti, per noi, vengono quasi tutti tarati sui 
risultati in etere terrestre. Però quando arrivano email, per esempio, dai 
nostri soldati in Afghanistan, ci si rende conto delle potenzialità del mezzo, 
nel bene e nel male. Per questo è meglio il bene, che significa un'informazione 
equilibrata, attenta, critica verso i propri immancabili pregiudizi».
                    
                    Quali sono i segreti per dirigere efficacemente una 
redazione come la sua?
                    «Capire che non siamo né Rai né Mediaset e che il pubblico 
si aspetta qualcosa di diverso. E' l'unico sistema perché sintonizzarsi sul 
nostro tg non sia un'esperienza casuale di un telecomando impazzito ma una 
scelta precisa.
                    Incoraggiare i giovani videogiornalisti con attrezzatura 
professionale ma leggera è poi una scomessa che so di poter giocare sempre, dal 
1995, quando Zona Reporter di Sei Milano importò il metodo e lo stile in 
Italia».
                    
                    Nell'ultimo anno non sono stati pochi i casi di cronaca 
portati tristemente alla ribalta, dalla morte del piccolo Tommaso ai recenti 
fatti di Brescia: qual è, a suo giudizio, il compito dei media in questi 
frangenti, tra il diritto alla riservatezza delle persone e il dovere di 
informare costantemente il cittadino?
                    «Molto semplice: le notizie bisogna raccontarle, che piaccia 
o no. Bisogna farlo ricordandosi che si parla di umane tragedie, e che si devono 
avere barriere etiche molto superiori a quelle che possono essere erette dai 
limiti di legge. L'importante però è non fare della legge sulla privacy, 
eccessivamente restrittiva, un totem intoccabile. A volte è semplicemente uno 
strumento che aiuta i potenti e gli arroganti a nascondere le loro malefatte. So 
che non tutti saranno d'accordo, ma credo che il comportamento delle testate 
giornalistiche, a parte pochissime eccezioni (alcuni programmi di cronaca "a 
sensazione" e alcuni quotidiani locali a caccia di copie) sia in genere più che 
corretto».
                    
                    Quali crede potranno essere i benefici che l'informazione 
trarrà dallo sviluppo di nuove tecnologie come il digitale terrestre e in che 
modo dovranno essere recepiti dagli addetti ai lavori?
                    «Il mezzo per me non è il fine. Contano solo i contenuti. 
Facciamo bei programmi, bei servizi, e lasciamo i nuovi media a quello che 
devono essere: dei contenitori, nel nostro caso, di informazioni. Ci diano la 
possibilità di scegliere senza cartelli e monopoli, poi si vedrà».
                    
                    E' sempre acceso il dibattito sul rapporto tra politica e 
informazione; nella sua emittente avvengono e come sono gestite eventuali 
pressioni politiche?
                    «Se mi arrivassero pressioni farei finta di non 
accorgermene. Se mi costringono ad accorgermene, me ne vado. Sono e resto un 
cronista, racconto e chiedo di raccontare quello che vedo o che si vede, nulla 
di più né di meno».