
 Telegiornaliste anno II N. 17 (49) del 1 maggio 2006
          
                    Riccardo Chartroux di 
					Stefania Trivigno
                    
                    Questa settimana abbiamo intervistato 
					Riccardo Chartroux, inviato della redazione cronaca del 
					Tg3.
                    
                    Lei è cronista per il Tg3: ha scelto la cronaca 
					per vocazione?
                    «No. Ho iniziato dopo aver vinto un concorso per praticanti 
					in Rai, sono stato assegnato piuttosto casualmente al Tg3
                    che apriva un notiziario della mattina presto, dalle 6.00 
					alle 8.00. Dopo un paio d'anni sono riuscito a entrare in 
					una redazione. Volevo andare agli esteri, l'allora direttore 
					Lucia Annunziata disse: “Non se ne parla, il mestiere lo 
					impari in cronaca”. Aveva ragione».
                    
                    Nel corso della sua carriera c’è stato un avvenimento 
					tanto significativo da influenzare, positivamente o 
					negativamente, la sua crescita professionale?
                    «Ero entrato al Tg3 da un anno e mezzo quando alle 
					otto del mattino squilla il telefono, una collega mi fa: “E’ 
					morta Lady Diana, devi andare a Londra”.
                    “Che scherzo del cavolo” - rispondo e riattacco. Pochi 
					istanti e mi richiamano. “Guarda che è vero”. Era fine 
					estate e molti colleghi erano in ferie, io sapevo bene 
					l'inglese. E sono partito».
                    
                    Lei ha seguito la vicenda del sequestro Sgrena. Come ha 
					vissuto il periodo del sequestro e la drammatica 
					conclusione? Il fatto che si trattasse di una sua collega ha 
					avuto un ruolo nella gestione delle informazioni?
                    «Difficile dirlo. Inutile negare che il fatto che la 
					sequestrata fosse una collega ha tenuto un po' più alta 
					l'attenzione dei media. Ma la vicenda è stata piena di 
					risvolti anche emotivi molto forti. Giornalista di sinistra 
					che cercava di raccontare anche le ragioni della resistenza 
					irakena, pur non condividendone i metodi, rapita dalla 
					stessa resistenza che le mostra il suo volto più brutale. 
					Colleghi del quotidiano di sinistra che trovano un 
					interlocutore fidato in un agente dei servizi segreti, 
					figura che fino ad allora avrebbero visto con sospetto. E 
					alla fine si ritrovano in prima fila a commemorare l'agente, 
					ucciso dagli alleati americani. Una di quelle storie che ti 
					insegnano che il mondo è complicato».
                    
                    In molti pensano che negli ultimi anni il Tg3
                    abbia fornito l’informazione più obiettiva in Italia. E' 
					d'accordo?
                    «Ci abbiamo provato».
                    
                    Come si lavora in un telegiornale spesso al centro 
					dell'attenzione?
                    «Si cerca di non fare stronzate».
                    
                    Come si evita la faziosità nell'informazione?
                    «Come sopra».
                    
                    Lei ha aderito al blog "schienadritta" per la difesa 
					della libertà di stampa. Secondo Lei, questa, e 
					l'informazione pubblica in generale, sono realmente a 
					rischio?
                    «Non tanto la libertà di stampa, ma la libertà dei 
					giornalisti. Se incarichi, carriere, successi e insuccessi 
					personali, e last but not least stipendi, sono decisi 
					non solo in funzione della professionalità ma della 
					vicinanza a questo o quel soggetto dotato di potere 
					(economico o, soprattutto nel caso della Rai, politico) 
					l'indipendenza va a farsi benedire. Se le scelte editoriali, 
					quali servizi si fanno, quali notizie si danno, quali 
					personaggi si intervistano, se tutte queste scelte sono 
					determinate da considerazioni politiche, magari anche, con 
					le migliori intenzioni, di equilibrio politico, le regole 
					del giornalismo sono violate. Ne consegue che i cittadini 
					non hanno il servizio per cui stanno pagando (con il canone 
					Rai ma anche con il ricarico sul prezzo dei prodotti che 
					paga la pubblicità).
                    
                    Anni fa, l'aver denunciato in un servizio abusi e 
					violenze su bambini le ha creato problemi. Sarebbe disposto 
					in futuro a correre dei rischi pur di denunciare fatti 
					altrettanto gravi?
                    «Non ho corso dei rischi. Ho fatto una di quelle cose che 
					non bisogna fare di cui parlavo al punto 5. Il problema vero 
					è che la soglia di attenzione mia e di altri colleghi anche 
					più esperti si abbassò, perché si ha sempre fretta, tutto 
					viene fatto di corsa e quando hai esaminato per un'ora 
					materiale pedofilo orrendo la tua soglia di tolleranza si 
					abbassa, e ti sembra normale materiale che si può mandare in 
					onda quello che ad altri fa venire i brividi. Con qualche 
					anno di esperienza in più non lo rifarei».