
Telegiornaliste 
									anno V N. 16 (187) del 27 aprile 2009
Paolo Capresi, in Abruzzo in punta di piedi di
Giuseppe Bosso 
Questa settimana Telegiornaliste incontra
Paolo Capresi, inviato per Studio 
Aperto nelle zone colpite recentemente dal terremoto. 
Paolo, come stai vivendo questa esperienza in Abruzzo? 
«Per la prima volta mi sono trovato a raggiungere una zona colpita da una 
calamità naturale a caldo. Ho subito avvertito l'impatto terrificante che 
l'evento ha avuto per la popolazione, però la gente non si è lasciata 
assolutamente abbattere ed è già pronta per ricostruire. Dopo i giusti pianti 
per i lutti subiti, la gente dell'Abruzzo si sta rimboccando le maniche ed ha 
una grandissima voglia di ripartire». 
Come hai cercato di porti nei confronti di questa popolazione? 
«Con molto rispetto per quanto hanno vissuto, avvicinandomi in punta di piedi, 
ascoltando attentamente e capendo la realtà dei fatti. Per prima cosa ho cercato 
di fare la parte relativa alla cronaca, raccontando cosa era successo, e poi 
sono andato in cerca di storie, di quello che la gente aveva da dire. Mi hanno 
commosso vicende come quella di una famiglia che si era riunita per la Pasqua, 
ma il sisma ha trasformato la festa in lutto. Mi ha colpito un allevatore che è 
riuscito a salvare le sue vacche, e che ha prodotto dopo pochi giorni il primo 
formaggio, dicendomi che era il segno della sua volontà di ripartire. E poi 
l'ultracentenaria rimasta bloccata per tre giorni nel letto della sua casa che 
mi ha raccontato di aver fatto l'uncinetto». 
Le storie sono davvero tante. 
«Sì, dai carabinieri che dopo aver messo in salvo i loro familiari si sono 
precipitati a dare soccorso agli sfollati alle persone che hanno dovuto 
rimandare i matrimoni programmati da tempo a causa dell'inagibilità delle 
chiese, e il medico che, rimasto senza camice, presta il suo servizio in 
pigiama. Tanti piccoli segni di una grande umanità e di una grande voglia di 
risollevarsi». 
Abbiamo assistito a due facce della stessa medaglia dell'essere umano: al 
bene di questi volonterosi soccorritori da te citati si è purtroppo contrapposto 
il male degli sciacalli che hanno approfittato di questa catastrofe. 
«Purtroppo è così, ci sono anche questi aspetti di cui dobbiamo parlare. Credo 
che sia importante non essere indulgenti e raccontare i risvolti sgradevoli. 
Esaurita la parte cronistica della tragedia è stato importante andare in cerca 
delle storie personali, proprio per sottolineare come ci sia questa volontà di 
ripresa. Direi che più o meno tutti i colleghi che ho incontrato hanno cercato 
di fare questo». 
Cosa ne pensi dell'invadenza di chi, durante la notte, ha cercato di 
intervistare le persone che dormivano nelle automobili? 
«Non nascondo che ho notato anch'io questa invadenza, e non mi ha fatto per 
niente piacere. Ripeto che ritengo necessario, mai come in questi casi, sapersi 
avvicinare alla gente in punta di piedi, con tatto, per permettere di esprimere 
ciò che sentono. Sarebbe normale aspettarsi, da chi è rimasto così colpito, 
reazioni sgarbate, ma per quanto mi riguarda non ho trovato una sola persona 
scortese tra coloro che ho intervistato». 
Grande è la solidarietà che è stata finora manifestata, tra raccolte di fondi 
e proposte per ospitare gli sfollati. Ma basterà questo per la ricostruzione?
«Servono soprattutto soldi per l'Abruzzo, ed è quello che ha evidenziato anche 
Berlusconi invitando i cittadini a non mandare cose che potrebbero non servire; 
come è successo, per esempio, con i giubbotti o con carichi di uova, è 
importante che i soldi vengano canalizzati in maniera giusta per arrivare dove 
devono arrivare». 
Non sono mancate polemiche, anche di natura politica. 
«È facile dire "si poteva evitare". Ma in questo momento non credo sia il caso 
di fare questo tipo di ragionamenti, occorre rimboccarsi le maniche. Tutto il 
resto viene dopo». 
Ad ogni modo, pur nell'enormità della tragedia, ritieni che per un 
giornalista sia formativo seguire eventi come questo dal vivo? 
«Questa è la vita, la nostra vita, dobbiamo affrontarla e ciò fa crescere tutti, 
giornalisti e non. Per la nostra professione lavorare in queste situazioni è 
sicuramente un'esperienza molto formativa, non solo professionalmente, ma 
soprattutto umanamente. In questi casi potrebbe essere una bella idea affiancare 
agli inviati anche qualche stagista delle scuole».