
Telegiornaliste 
	anno II N. 6 (38) del 13 febbraio 2006
          
Mikaela Calcagno, sportiva nel Dna 
			di Filippo Bisleri
 			Una giornalista che non poteva che occuparsi di sport, ma anche una 
			donna determinata, che si impegna con tenacia in ogni progetto 
			che la vede coinvolta. E, questo, si traduce in buone prove 
			professionali che l’hanno portata ad approdare a Mediaset.
 
 Come hai scelto di fare la giornalista sportiva?
 			«Come ho scelto di fare la giornalista sportiva (sorride, ndr)? 
			Potremmo dire che non avevo molte scelte. Mio padre era presidente 
			dell’Imperia di calcio e ha portato la squadra fino alle soglie 
			della C2. Per me, dunque, è sempre stato naturale seguire il calcio 
			e imparare a conoscerne il mondo».
 
 Esiste un servizio che Mikaela 
			Calcagno ricorda con più affetto?
 			«Non esiste, almeno così su due piedi. Io metto molto impegno in 
			ogni cosa che faccio, come nel recente Esame di Stato. Per me non 
			esiste un servizio più bello o più caro, ogni volta è una prova di 
			tipo professionale e devo dare ai telespettatori il meglio. Forse, 
			però, le emozioni che ho vissuto nei servizi in diretta da piazza 
			San Pietro la notte che è morto il Papa sono quelle che ricorderò 
			per sempre. Spero di averle trasmesse al meglio anche a chi in 
			piazza non c’era».
 
 E quali sono stati o sono i tuoi maestri di giornalismo?
             «Credo che si impari continuamente. Ho imparato molto 
			anche da Aldo Biscardi, che è un vero mago della diretta. Ma anche i 
			colleghi con cui lavoro oggi sono quelli che mi possono insegnare 
			tanto della professione giornalistica. È però essenziale che ogni 
			giornalista rielabori quanto gli viene trasmesso dai colleghi e 
			dalle colleghe per farne utile tesoro. In questo lavoro, è il mio 
			pensiero, occorre sempre mettere tanta umiltà».
 
 C’è un sogno giornalistico nel cassetto di Mikaela Calcagno? I Mondiali di 
			calcio?
 			«Ti stupirò dicendoti che, ora come ora, sogno di poter realizzare 
			qualcosa di legato al mondo politico».
 
 Cosa pensi del luogo comune che vuole i giornalisti sportivi meno preparati 
			degli altri?
 			«Penso che sia, come hai detto bene tu, un luogo comune. Nulla di 
			più».
 
 Sei una calciofila o segui anche altre discipline?
 			«Quando ero a Roma conducevo e coordinavo il Tg sportivo e mi 
			occupavo anche di basket. Il calcio resta però il mio sport 
			preferito, tanto che, se c’era una partita in tv, anche di categorie 
			minori, la preferivo alle uscite coi fidanzati che spesso non mi 
			capivano e poi finivano col lasciarmi. Ma, ti dirò, anche sole non 
			si sta malissimo».
 
 Dunque, se ti chiedo se è possibile conciliare il ruolo di mamma con quello 
			di giornalista devi rispondere ad intuito...
			«Esatto, caro 
			collega. Io direi che, sulla carta, i ruoli siano conciliabili, 
			almeno per quanto vedo con le colleghe Mediaset (Lucia 
			Blini e Beatrice Ghezzi, 
			ndr)».