
Telegiornaliste 
	anno II N. 29 (61) del 24 luglio 2006
          
 
 
Intervista ad Alberto Brandi di 
Filippo Bisleri
                    
                    Abbiamo incontrato 
Alberto Brandi, caporedattore della redazione sportiva Mediaset, e ne 
abbiamo approfittato per indurlo a raccontarsi ai lettori di Telegiornaliste.
                    
                    Alberto, come hai scelto di fare il giornalista?
                    «E’ sempre stata la mia grande passione. Soprattutto 
nell’ambito sportivo. Da ragazzino, mi divertivo a riscrivere sui quadernoni 
tutti i risultati di calcio aggiungendo un mio commento».
                    
                    Cosa ti piace di più della professione giornalistica?
                    «La soddisfazione quando dai una notizia prima degli altri».
                    
                    Cosa significa essere il primo giornalista che, in 
chiaro, porta gli italiani nel vivo del campionato di calcio?
                    «Guida al Campionato, dopo dieci anni di conduzione, 
è un po’ la mia seconda casa. Torno alla risposta precedente: essere in onda per 
primi ci dà la possibilità di dare le ultime notizie dai campi. Prima degli 
altri. Cosa c’è di meglio?».
                    
                    Hai una preferenza per il giornalismo televisivo o ti 
piacciono anche altri media come la carta stampata o le radio?
                    «Sono nato e cresciuto nelle radio private. Ma è un bel 
ricordo, legato agli inizi della carriera. La televisione ha rappresentata la 
naturale evoluzione di questo mestiere».
                    
                    Nella tua esperienza professionale hai un servizio, un 
personaggio o un'intervista che più ricordi?
                    «Mi ricordo il mio primo servizio televisivo: per Tg5
                    sulla morte di un giocatore di hockey su ghiaccio. E 
l’ultimo scoop: quando grazie al lavoro di Paolo Bargiggia abbiamo mostrato a 
Guida il dossier-arbitri che l’Inter aveva preparato contro la Juve. 
Calciopoli era ancora lontana».
                    
                    Raccontaci un episodio curioso della tua vita 
professionale...
                    «Ce ne sono tanti, mi ricordo quando, ad Appiano, io, 
Gentile e il mio collega Daniele Dallera, attuale capo dello sport al 
Corriere della Sera, abbiamo spinto il maggiolone in panne di Gianfranco 
Matteoli. Era il 1989…».
                    
                    Chi sono stati i tuoi maestri di giornalismo?
                    «Tanti. Tutti i miei direttori, Bartoletti, De Luca, 
Rognoni, mi hanno insegnato qualcosa. Il mio primo caporedattore, Massimo 
Corcione, mi ha formato professionalmente, indicandomi un modello da seguire: 
Sandro Piccinini. Aveva ragione».
                    
                    Tra colleghi e colleghe chi apprezzi di più?
                    «Mi ripeto, Sandro Piccinini. E per l’organizzazione 
redazionale Nicola Calathopoulos».
                    
                    Molti giovani vorrebbero fare i giornalisti. Quali 
consigli daresti loro?
                    «Fare come me: partire dal basso, fare esperienza in ambito 
locale. Anche senza guadagnare un euro. Seguire quelli che riteniamo più bravi 
di noi. Il resto lo fa la fortuna. Nel mio piccolo, ne ho avuta molta».