
Telegiornaliste 
					anno III N. 14 (92) del 9 aprile 2007
Marco Betello: che risveglio! 
                    di Nicola Pistoia 
                    
Marco Betello 
è cresciuto a pane e giornalismo: «La mia passione è una passione antica che 
nasce da bambino e che ho avuto la fortuna di realizzare. Di giornalismo, e del 
mondo che gli ruota attorno, ho sentito parlare sin da piccolo perché mio padre 
è un giornalista pubblicista. Molti dei suoi amici erano le grandi firme del 
giornalismo sportivo romano, e spesso si ritrovavano a cena a casa nostra. Sono 
cresciuto con loro, ascoltando i loro racconti. Grandi personaggi che mi hanno 
subito affascinato, alimentando, giorno dopo giorno, questa mia passione». 
                    
                    Ogni tanto sei bersaglio di quelli di Striscia la 
Notizia: la cosa t'infastidisce o ti fa piacere? 
                    «E’ simpatico ma alla fine mi infastidisce. Non per la presa 
in giro fine a se stessa, quanto per l’immagine che da casa si fanno sul mio 
conto. Uno si sveglia alle 4,30 tutte le mattine da dieci anni a questa parte. 
Cerca di dare il massimo, in ogni occasione. Capita di sbagliare e loro sono 
pronti ad immortalarti. Andare in diretta a quell’ora non è facile. In più 
conduciamo sette, dico sette, edizioni del tg una dietro l’altra. Trovatemi 
un’altra realtà come la nostra. La diretta è impietosa, e loro lo sanno tanto 
che in diretta non ci vanno. Ciò naturalmente non giustifica le mie “papere”. 
Loro fanno, e benissimo, il loro mestiere». 
                    
                    Tu hai assistito al passaggio ai vertici del tuo tg da 
Clemente Mimun a Gianni Riotta: com'è cambiata la linea editoriale del Tg1? 
                    «A dire il vero ho assistito a undici, dodici, o forse 
tredici passaggi di consegne tra i vari direttori del Tg1. Ho perso il 
conto. Tutti, e sottolineo tutti, professionisti eccellenti. Ovviamente non sono 
io la persona più qualificata per esprimere dei giudizi sui miei direttori. 
Hanno uno spessore culturale e professionale talmente più alto del mio che 
qualsiasi considerazione sarebbe fuori luogo. E’ inevitabile però che ogni 
singolo direttore abbia voluto dare la propria impronta al “suo” tg. Tutti hanno 
contribuito a consolidare e rilanciare il brand del Tg1 
                    nel corso di questi anni facendo sì che il nostro 
telegiornale sia anche oggi il più amato e visto dagli italiani». 
                    
                    In base a qualche criterio vengono decisi i conduttori 
per le diverse edizioni dei tg? 
                    «I telegiornali del mattino sono da sempre stati considerati 
una sorta di palestra per i neo assunti. Un passaggio obbligato per farsi le 
ossa. Io ho cominciato a lavorare in Rai con contratti di lavoro a tempo 
determinato proprio nella redazione del mattino. Quattro anni di lavoro 
entusiasmante. Un arricchimento professionale unico. Poi, una volta assunto, 
sono stato inserito nella redazione economica: il fulcro, insieme a quella 
politica, di qualsiasi giornale, figurarsi al Tg1. Credevo che in quella 
redazione, così specialistica, non sarei mai stato in grado di poter dare un 
contributo significativo, di garantire un valore aggiunto per chi, da casa, 
guardava un mio servizio. Credo di essere molto scrupoloso e cerco di mettermi 
sempre in discussione. Così dopo una lunga riflessione presi la decisione di 
tornare alla redazione del mattino anche perché era il lavoro che più mi piaceva 
e che meglio sapevo fare. Fossilizzarmi su un’unica materia non mi entusiasmava, 
mentre al mattino il lavoro è molto più variegato». 
                    
                    Hai mai avuto ripensamenti sulla scelta di fare il 
giornalista? 
                    «No. Mai. Enzo Biagi credo dicesse fare il 
giornalista è sempre meglio che lavorare. A parte questa battuta credo che 
in questa professione sia difficile annoiarsi e molto più facile entusiasmarsi. 
Sin da piccolo ho inseguito questa chimera. Sono riuscito ad acciuffarla. Credo, 
e questo vale in tutti i settori della nostra vita, che chiunque riesca a 
realizzare i propri sogni si debba sentire un privilegiato».