
Telegiornaliste 
					anno II N. 40 (72) del 6 novembre 2006
 
 
Massimo Bernardini, la tv che valuta la tv 
                    di Giuseppe Bosso 
                    
                    Massimo Bernardini, 
50 anni, milanese, giornalista professionista, sposato, tre figli, dopo una 
giovanile esperienza musicale ha coltivato negli anni '80 una serie di 
collaborazioni giornalistiche come pubblicista nel settore della critica 
musicale al Radiocorriere Tv, 
                    Famiglia Cristiana, Avvenire e al settimanale 
                    Il Sabato. Fra la metà degli anni '80 e la fine degli 
anni '90 è divenuto responsabile della Redazione Spettacoli del quotidiano 
Avvenire. 
                    
                    Ha avuto anche esperienze come autore e conduttore 
radiofonico. 
                    Ha collaborato fin dalla fondazione con l’emittente 
satellitare cattolica Sat 2000, per la quale nella stagione televisiva 2001-2002 
ha co-ideato e condotto la prima serie de Il Grande Talk: trenta puntate 
dedicate ai talk show italiani, con ospiti come Bruno Vespa, Michele Santoro, 
Maurizio Costanzo, Gianfranco Funari. 
                    
                    Nelle stagioni 2002/2003, 03/04, 04/05 è stato coautore e 
conduttore della seconda, terza e quarta edizione de Il Grande Talk, 
dalla seconda edizione frutto della collaborazione fra Sat 2000 e 
Raieducational. Da questa esperienza nasce, nella stagione 2005/2006, la nuova 
formula di
                    
                    Tv Talk, il programma sulla televisione di 
Raieducational in onda il sabato su Rai3, di cui Bernardini è coautore e 
conduttore. 
                    
                    Qual è, secondo lei, il ruolo della critica nella 
televisione di oggi? 
                    «Stimolante, essenzialmente. Senza offendere nessuno, 
riuscire a rendere la tv il più possibile reale e meno virtuale, e affinché 
possa svolgere, come in passato, quel ruolo di fattore di crescita che aveva 
ricoperto». 
                    
                    I "flop" che hanno registrato Wild West, Circus 
                    e anche L'isola dei famosi 4 sono un segno che è 
finita l'era dei reality? 
                    «Mah, io aspetterei a trarre conclusioni. Una partenza 
problematica è un po’ poco per emettere sentenze; è un discorso da affrontare, 
semmai, tra qualche mese. Ritengo comunque che più che i reality in sé è 
significativa la loro ricaduta nel prime time, nei vari contenitori in cui se ne 
parla e se ne straparla. Credo che se si riuscisse ad evitare questa 
sovrabbondanza la tv potrebbe concedersi una “pausa”, proprio perché pare che 
tutto ruoti intorno a questi programmi». 
                    
                    Come crede che cambieranno le nostre "abitudini 
catodiche" con il digitale terrestre? 
                    «Guardi, sinceramente non so cosa risponderle. Si è pensato 
che il passaggio fosse imminente all’inizio, e invece è stato rimandato. Per ora 
non pare avere avuto molto successo, ma penso sia una tassa da pagare per tutte 
le cose che sono in fase di sperimentazione. E’ comunque innegabile che in 
futuro queste tecnologie influenzeranno molto le nostre abitudini». 
                    
                    Qual è il ruolo dei giovani opinionisti nella sua 
trasmissione? 
                    «Anzitutto sono ragazzi che hanno modo di fruire della 
televisione a seconda delle esigenze della loro età. Sono un "pubblico 
pensante", attrezzato culturalmente per giudicare ed esprimere il proprio parere 
sui palinsesti».