Telegiornaliste
anno II N. 10 (42) del 13 marzo 2006
Balestrieri, donna dei motori di
Tiziano Gualtieri
Federica Balestrieri,
bresciana, giornalista professionista dal 1995, è il
volto di riferimento della Formula 1 sui canali
Rai, e inviata speciale di
Raisport.
Nella sua carriera giornalistica, fin da subito, si fa spazio il
mondo dei motori. La gavetta è lunga, dalle categorie minori fino
all'elite del Circus della Formula 1, ma trova spazio - e non solo
nel suo lavoro – anche il calcio. Scorrendo il suo curriculum si
legge, infatti, che ha realizzato anche tanti servizi di calcio per
Dribbling e per la Domenica Sportiva.
Federica, iniziamo subito con una domanda a bruciapelo: calcio o
Formula 1? E perché?
«Formula 1, senza dubbio. Al calcio mi hanno prestata
per qualche anno. È un ambiente molto più provinciale di
quello della Formula 1 e molto più disorganizzato. Si lavora peggio.
L'unica cosa positiva della mia esperienza nel calcio è che ho
conosciuto mio marito, agente di calciatori».
In un certo senso sei entrata nella storia. Da due stagioni sei la prima
donna a condurre - da sola - un programma di motori (Pole
Position, ndr). Perché la donna viene affiancata ai motori solo
sulle copertine dei giornali, nei paddock o nelle fiere?
«È un ambiente particolarmente maschilista, e non aiuta che
ancora oggi ci siano donne che pur di arrivare si prestano a
comportamenti non professionali. Alla fine la loro immagine esce di
più di quella di chi lavora con serietà e preparazione. Sono un
cancro per la categoria delle donne in generale, non solo in Formula
1».
Secondo te, in campo sportivo, nonostante il passare degli anni, c'è ancora
difficoltà a dare fiducia al giornalismo al femminile?
«Ti faccio un esempio: quante donne oltre i quarant'anni, brutte,
grasse, magari con pochi capelli o con i capelli grigi vedi in
video? Nessuna. Quanti uomini? Una marea. Non serve fare nomi. Ma
sono bravi, si dirà. Certo, ma alle donne essere brave non basta.
Agli uomini sì».
Quali sono le cose su cui punteresti se ti chiedessero di dimostrare che una
giornalista donna può seguire i motori in maniera uguale - se non
migliore - rispetto a un giornalista uomo?
«È la passione e la preparazione che conta e non il
sesso. Sarebbe come dire che un cuoco uomo cucina peggio di una
donna».
Tu sei partita dal basso: nei primi anni Novanta approdi alla Formula 1
seguendo la Scuderia Italia di Brescia, la tua città natale, grazie
all'opportunità che ti è offerta dal Giornale di Brescia. Era
il tuo sogno, oppure ti sei appassionata dopo ai motori?
«Era il mio sogno. Da sempre. Allora già seguivo le corse da
un anno. La Formula 3 e i rally. C'erano parecchi
piloti bresciani che ci correvano, alcuni erano miei amici,
coetanei. È da lì che è iniziato tutto».
Perché nel calcio, altro sport tradizionalmente maschile, le donne riescono
a inserirsi meglio rispetto al mondo dei motori?
«Perché ci vuole meno competenza. Di calcio parlano tutti, è
uno sport molto più facile e meno tecnico, è ben più difficile
sbagliare e tutto si perdona. Se segui i talk-show di calcio
tutti dicono il contrario di tutto. C'è molta approssimazione».
Come tutti, anche tu hai fatto la gavetta. Quali sono i pregi e quali i
difetti di seguire lo sport per un giornale locale o per una tv
nazionale?
«Dai diciotto ai ventitré anni, quando l'ho fatto io, ci sono solo
pregi a lavorare in un giornale locale. Hai la possibilità di farti
le ossa con molta meno pressione che in tv. Lavori in ambienti più
rilassanti e meno competitivi. Certo oggi è diverso, in Formula 1
Bernie Ecclestone non lo accrediterebbe nemmeno un giornalista
locale. C’è una selezione bestiale, solo duecento inviati delle più
importanti testate del mondo. Ma la gavetta è fondamentale se
si vuole costruire una professionalità solida e non improvvisata. E
alla lunga paga sempre».
Per cinque anni hai "girovagato" tra i box. Qual è il pilota che ricordi con
maggiore affetto e quale quello, invece, che non sopporti?
«Ancora adesso sono in pista in tre Gran Premi all'anno e
durante molti test invernali (ha seguito anche i test di Valencia
dove c’era anche
Valentino Rossi alla guida della Ferrari, ndr). I piloti
sono tendenzialmente molto più simpatici dei calciatori. Umanamente
parlando, i miei preferiti sono
Giancarlo Fisichella, Jarno Trulli e Felipe Massa. Ma
anche il nuovo arrivato, il figlio di Keke Rosberg, Nico,
e pure Jean Alesi era un mito».
L'essere donna in un mondo prettamente maschile ti ha aiutata o ti ha
penalizzata?
«Come detto prima mi ha sicuramente penalizzata».
Tuo
marito è un noto procuratore di calciatori: non ti è mai venuto in
mente di lasciare la Formula 1 e ritornare anima e corpo nel mondo
del pallone?
«No, per carità. Detesto i conflitti di interesse, metterei
in difficoltà lui e non lavorerei bene io. E poi che noia le partite
di pallone!».
Il tuo amore per i motori è sfociato nella partecipazione (insieme
a Kristian Ghedina, ndr) alla storica Mille Miglia. Di
persona mi hai confessato di ammirare fin da piccola le auto d'epoca
che partecipavano alla Freccia Rossa. Che
emozioni hai avuto una volta finita dall'altra parte?
«È stata una delle emozioni più grandi della mia vita.
Davvero. Quando ero piccola abitavo a due passi dalla partenza della
Mille Miglia e mio nonno mi portava a vedere le macchine. Chi
mai avrebbe pensato che un giorno avrei partecipato da
concorrente?».
Un'esperienza che hai raccontato in un documentario che ha ottenuto la
menzione d'onore e la targa della presidenza del Senato al
Festival Internazionale Sport Movie And Tv. L'ennesima
consacrazione di un lavoro fatto bene.
«È stato un lavoro di montaggio lungo e faticoso. Lo scorso luglio
tra i quattro Gran Premi di Formula 1 e il documentario sulla
Mille Miglia ho lavorato 31 giorni su 31! Ero a pezzi, ma ne è valsa
la pena. Amo molto realizzare documentari, adesso ne ho in
programma uno sulle corse americane».
Infine una particolarità. Quando non lavori ti dedichi al volontariato.
Poche settimane fa hai partecipato a una missione in
Sud Sudan . Se ti dico che una sola delle persone che hai
incontrato potrebbe stare meglio, ma devi rinunciare a qualcosa
della tua carriera, cosa mi rispondi?
«Con mio marito abbiamo trascorso due settimane nel Sud Sudan.
Facciamo parte di un'associazione di Brescia,
Cesar, che aiuta un vescovo italiano che ha tredici missioni
laggiù. È stata un'esperienza terribile ma bellissima. Laggiù hanno
bisogno di aiuto e torneremo sicuramente. Ma molto lo facciamo da
qui raccogliendo fondi per scuole e ospedali.
La mia carriera non è importante. Anzi farò presto un passo indietro
per dedicarmi alla mia famiglia e al volontariato. Già il prossimo
anno. Ho già avuto tanto dal lavoro. Ho raggiunto nello sport tutti
gli obiettivi che mi ero prefissata. Nella vita c'è anche
dell'altro!».