Telegiornaliste
anno IV N. 39 (164) del 3 novembre 2008
Rossella Arena, l’esordio di
una scrittrice
di Chiara Casadei
Anche se per i giovani trovare la propria strada
nel mondo del lavoro è quasi un salto ad occhi
chiusi, qualcuno decide di buttarsi e, con
grande sorpresa, a volte l’atterraggio si rivela
soffice e soddisfacente. È stato così per
Rossella Arena, calabrese trapiantata a
Perugia, venticinque anni, che già un anno fa
pubblicava il suo primo libro Nonostante i
miei genitori
(Alcyone), una raccolta di storie diverse, di
personaggi che raccontano le loro emozioni più
nascoste. Con questa intervista, Rossella ci
parla di sé e del suo romanzo.
Rossella Arena studentessa. Il percorso da lei
intrapreso è prettamente letterario. Come è nato
il suo interesse in questo campo?
«È nato molto presto, diretta conseguenza
dell’amore per le parole. A tre anni sapevo
leggere: ho iniziato dai segnali stradali e
dalle scritte che vedevo in televisione o sugli
oggetti che mi circondavano. Qualunque cosa,
appena “la leggevo”, appariva diversa, più mia.
Credo che il mio legame con le parole sia così
forte proprio perché si è creato quand’ero
ancora piccola, in un’età in cui non c’è
separazione fra ciò che si prova e ciò che si è.
Ecco perché ancora oggi il contatto coi libri mi
fa sentire bene, mi riempie di piacere».
Rossella scrittrice. Ha pubblicato da più di
un anno il libro d’esordio Nonostante i miei
genitori. Come è nata l’ispirazione e quanto
la sua esperienza ha influito sull'argomento e
sulla stesura del romanzo?
«La prima cosa importante che ho davvero
compreso, e cioè quanto sia necessario diventare
sé stessi, ha generato questo mio primo libro.
Come grida il titolo, vivendo e interagendo con
mamma e papà fin da piccolissimi, creiamo in noi
delle idee e dei modi di percepire gli altri e
le situazioni che dipendono in gran parte dai
loro. In alcuni casi questo condizionamento è
molto evidente: quanti ragazzi e adulti, ad
esempio, seguono oggi le anacronistiche idee
politiche dei propri genitori? In altri casi il
condizionamento è più sottile, invisibile nelle
parole ma presente nei fatti. Così era - e
ancora è - per me, così è per moltissimi.
L’ispirazione, dunque, è sempre stata presente,
in ogni momento della mia vita: bisognava
attendere quello giusto per concretizzarla».
Secondo lei il rapporto genitori-figli è
diventato più difficile?
«Rispetto ad un tempo, penso proprio di no. Il
dialogo è oggi più frequente e reso possibile
dalle migliori condizioni socio-economiche. Se
pensiamo a una famiglia del dopoguerra, che
spesso non aveva cibo sulla sua tavola, possiamo
immaginare che al suo interno parlare con i
figli e occuparsene psicologicamente non
costituissero certo delle priorità per i
genitori. Oggi è diverso, il benessere materiale
è maggiore e in teoria ci sarebbe più tempo e
modo in famiglia di conoscersi, di confrontarsi.
Eppure il pericolo frequente è di perdersi in
tutto ciò che abbiamo, di riempire vuoti e
necessità reali con le mille possibilità che il
mondo odierno offre. Da quel che ho visto, molti
genitori tengono al giudizio dei propri figli
così tanto che tendono spesso ad accontentare
subito le loro richieste, senza pensare a ciò di
cui potrebbero veramente aver bisogno. Il
rapporto si costruisce sull’apparenza, e
conoscersi diventa impossibile. Cosa ancora più
fondamentale, i genitori si dimenticano spesso
che, al di là del loro ruolo, sono delle
persone, che hanno dei bisogni e dei problemi
che non devono essere dimenticati, ma
assolutamente affrontati. Altrimenti allo stesso
modo ignoreranno problemi e bisogni dei propri
figli».
Mirava fin dall’inizio alla stesura di un
libro oppure è stata un’inaspettata sorpresa
“collaterale”? Come è riuscita a farsi
pubblicare così giovane, qualche asso nella
manica da svelare?
«Fino a tre anni fa non pensavo di poter
pubblicare un libro. Come la lettura, la
scrittura era una profonda esperienza interiore
che custodivo per me. Poi all’improvviso, un
caldo pomeriggio in cui riflettevo sulla
dipendenza psicologica dai genitori, si
formarono chiari nella mia testa il titolo del
libro, la sua struttura e la convinzione che sì,
l’avrei scritto e pubblicato. Non so come ci
sono riuscita: ho liberato le mie parole verso
il mondo dell’editoria, in cui non conoscevo
nessuno. Mi sono certo documentata molto,
soprattutto tramite il prezioso internet, sulla
realtà in cui aspiravo ad entrare: ho reperito
materiale sulle diverse case editrici, su come
contattarle e sulle modalità di presentazione
del manoscritto, su scrittori e giornalisti.
Un’altra cosa importante è confrontarsi con chi
come te scrive, per accrescere i propri
interessi, per venire a conoscenza di
opportunità letterarie impensabili».
Ogni anno in Italia si pubblicano migliaia di
nuovi titoli: perché un lettore dovrebbe
scegliere di acquistare il suo libro?
«Perché quello che scrivo non è frutto di sterile
speculazione intellettuale. Io scrivo tenendo
ben presente il mio desiderio di crescere e
ritenendo la crescita stessa la cosa più
importante nella vita di un lettore e di un
essere umano. La mia scrittura, come la mia
vita, è ricerca continua del contatto autentico
con sé stessi, di tutto ciò che non è davanti ai
nostri occhi, di mondi e possibilità ulteriori.
Il mio libro parla di un argomento che riguarda
tutti, ma cercando di portare sotto i raggi del
sole quegli aspetti che di solito vengono
relegati in angoli bui. Pagina dopo pagina,
leggendo le storie dei diversi protagonisti,
spero che ogni lettore trovi il coraggio di
raccontare, anche solo a se stesso, la propria
storia».
Quali consigli darebbe alle giovani scrittrici
emergenti?
«Ciò che si scrive diventa più profondo e vero
man mano che ci si conosce meglio e si vive
realmente. Il mio consiglio è quello di
arricchire quotidianamente la propria vita, sia
attraverso il contatto con le persone e le cose
che si amano, sia attraverso l’esplorazione di
mondi nuovi, che di conseguenza permettono di
scoprire parti inedite di sé. Bisogna vivere nel
mondo e poi uscirne e scrivere, poi rientrarci e
allontanarsene ancora. È un continuo movimento
dai suoni e rumori al silenzio. Per le
studentesse, più che un consiglio un
incoraggiamento: non rinunciate a trovare il
tempo e il luogo adatto per scrivere! Lo studio,
per chi lo porta avanti seriamente, risulta
molto più impegnativo di un normale lavoro. Al
termine della giornata lavorativa, solitamente
si torna a casa ed è possibile a quel punto
dedicarsi ad altro. Chi studia, invece, rischia
di trascorrere tutta la giornata a lezione e, al
ritorno a casa, di continuare a prepararsi per
esami e verifiche. Molti studenti inoltre
lavorano per guadagnare qualche soldo;
aggiungendo il tempo per le normali relazioni e
amicizie, rimangono forse poche ore. In questa
trottola di impegni, si rischia di perdere
l’attaccamento alla scrittura, di dimenticarla,
di non scrivere anche per mesi. Bisogna invece
delimitarle, a tutti i costi, uno spazio
quotidiano».
Che progetti ha in cantiere per il futuro?
«I miei progetti cambiano in continuazione,
perché io muto e cresco ogni giorno! In ogni
caso, mi sto dedicando allo studio di lingue
straniere, in particolare il francese. Proverò
dopo la laurea specialistica ad accedere ad una
Scuola di Dottorato, magari a Torino, la città
italiana che finora amo di più. Da qualche tempo
penso anche che la cosa migliore sarebbe vivere
per un periodo all’estero. Ho saputo che in
Francia le borse di dottorato ti garantiscono un
assegno mensile che è quasi il doppio di quello
italiano; la recente riforma dell’istruzione
poi, non mi incoraggia certo a rimanere. Per
quanto riguarda la scrittura, sto scrivendo il
mio secondo romanzo e altri lavori. Tema
principale: la malattia, amica provocatrice».