
Telegiornaliste 
	anno IV N. 43 (168) del 1 dicembre 2008
                               Addio Maestro Curzi 
                               di Giuseppe Bosso
                               
                               «Addolorato per la perdita di un amico», ha detto 
								il Presidente Napolitano. «Gli devo tutto», ha 
								sottolineato Pierluigi Diaco. E ancora, «Legati 
								da una solidarietà quasi di sangue» per Michele 
								Santoro e «Un uomo sanamente di parte» per 
								Gasparri. Questi sono solo alcuni dei più 
								significativi pensieri all’indomani della 
								scomparsa di Sandro Curzi, andato via 
								quasi in silenzio in una fredda mattina di fine 
								novembre, dopo una vita vissuta sempre in primo 
								piano. 
                               
                               E protagonista lo è stato fin dalla prima 
								adolescenza quando, studente del Tasso, entra in 
								contatto con la Resistenza antifascista, 
								pubblicando il primo articolo - l’omicidio di 
								uno studente da parte di fascisti repubblichini 
								- sull'Unità clandestina. Fin da allora è 
								forte l’amore per l’ideologia comunista (come 
								quello per i colori biancocelesti della Lazio), 
								prima e dopo la guerra in cui è partigiano 
								attivo e combattivo nella Capitale città aperta, 
								e subito dopo tesserato benché minorenne per il 
								Pci. 
                               
                               Lunga e intensa è la gavetta che percorre 
								da Pattuglia, Repubblica d’Italia 
								e
                               Gioventù nuova, fino a diventare 
								capocronista a l'Unità, dove ha modo di 
								seguire dal vivo la tumultuosa decolonizzazione 
								algerina. 
                               
                               Dopo quasi trent'anni di carriera spesi tra carta 
								stampata e radio, approda in Rai nel 1975 
								nella redazione del Gr1 di Sergio Zavoli, per 
								diventare l’anno seguente, insieme a Biagio 
								Agnes e Alberto La Volpe, pioniere di RaiTre: 
								condirettore e realizzatore della fortunata 
                               Samarcanda, per assumere poi la direzione nel 
								1987. 
                               
                               Il 1993 segna il suo primo divorzio da Viale 
								Mazzini, in disaccordo con il nuovo corso 
								dirigenziale Demattè-Locatelli. Passa a Tmc, non 
								disdegnando una breve parentesi Mediaset 
                               dall’amico Costanzo come editorialista quotidiano 
								per il più longevo talk show made in Italy, e 
								torna a casa Rai nel 1996 dove conduce I 
								grandi processi. 
                               
                               Forte è anche la sua polemica con Antonio Di 
								Pietro al momento della sua scesa in campo nel 
								1996, al punto da creare la lista Unità di 
								sinistra che ottiene un discreto risultato per 
								le elezioni del Senato. Per sette anni, fino al 
								2005, è direttore di Liberazione, voluto 
								da Bertinotti, fino alla sua elezione a 
								consigliere di amministrazione Rai appoggiata da 
								Rifondazione Comunista, Verdi e sinistra Ds. Per 
								tre mesi è reggente alla presidenza fino 
								all’elezione di Petruccioli. I suoi ultimi 
								fuochi sono l’astensione alla proposta di 
								licenziamento di Agostino Saccà nel luglio di 
								quest’anno, decisiva per il suo salvataggio, e 
								un’intervista 
                               ad Affari italiani del 19 settembre in 
								cui, pur provato dalla malattia, non risparmia 
								frecciate all’attuale classe politica italiana e 
								sul nuovo corso dirigenziale di Viale Mazzini.
                               
                               
                               Addio, dunque, a un altro maestro del giornalismo 
								da un Paese che, non più tardi di un anno fa, 
								piangeva lacrime di coccodrillo per Enzo 
								Biagi. La speranza che ci accompagna è che 
								l’insegnamento di queste grandi firme non vada 
								disperso dal tempo o dai tanti che cercano - più 
								o meno riuscendoci - di condizionare 
								l’informazione.